Nuovo Libro ;IL MASSACRO CHIMICO DI HALABJA DEL 1988–Laura Schrader Giornalista, scrittrice e profonda conoscitrice della questione Curda

Aggiornato il 14/11/23 at 01:36 pm

Riassunto Il regime iracheno usa napalm e armi batteriologiche durante la guerra contro larivoluzione kurda per l’autonomia guidata da Mullah Mustafa Barzani (1961-1975). Inseguito, e fino alla vigilia dell’invasione del Kuwait (1975-1989), il regime rade al suolocirca 5.000 villaggi e una ventina di città, deportandone gli abitanti. In questo periodo,Baghdad fa nuovamente uso di napalm e altre armi chimiche per bruciare campi e foreste.Dal 1987 si aggiungono i bombardamenti con gas letali per eliminare la popolazione: il15 aprile 1987 vengono bombardati alcuni villaggi in provincia di Sulaimania e in seguitoanche in provincia di Arbil. Gli attacchi continuano, culminando nel bombardamentodella città di Halabja. Il 16 e il 17 marzo 1988 Halabja (70.000 abitanti), è bombardata atappeto dall’aviazione con un composto chimico letale. Almeno di dodicimila il bilanciofinale delle vittime, tutte civili. Alle proteste internazionali non segue alcuna significativareazione da parte dell’ONU, che si limita ad una risoluzione generica e non adotta neiconfronti dell’Irak le sanzioni previste dal capitolo 7 della sua stessa Carta. Dopol’accordo del cessate il fuoco con l’Iran del 20 agosto 1988 Baghdad scatenal’“operazione finale” contro la regione kurda del Badinan. La distruzione chimica delBadinan – esseri umani, fauna e flora, acque, terra, vegetazione – continua dal 25 agostoal 9 settembre, quando le proteste internazionali costringono l’Irak a sospendere la“soluzione finale” del problema kurdo. Anche dopo la strage del Badinan l’ONU noninterviene: si tratta di una questione interna dello stato iracheno.Gli scienziati concordano nel ritenere che le armi chimiche usate da Saddam Husseinsiano un miscuglio di iprite, acido cianidrico e gas neurotossici, come Sarin, Soman,Tabun e VX. I danni si trasmettono da una generazione all’altra, come indica ChristineGosden, docente di genetica medica all’Università di Liverpool, che ha svolto una ricercasul campo nel decennale del massacro. Dopo la guerra del Golfo, nelle sedi governativedel Kurdistan liberato nel 1991, l’amministrazione provvisoria kurda sequestra diciottotonnellate di documenti ufficiali sulla pianificazione e la realizzazione dello sterminio delpopolo kurdo. Questa documentazione si trova ora nell’Archivio del Congresso degli StatiUniti. Contiene le prove del genocidio: la commissione di esperti che ha esaminato ilmateriale ha concluso che di vero e proprio genocidio si tratta. Secondo il dirittointernazionale, per processare Saddam Hussein e altri responsabili occorre che almeno unostato presenti richiesta di incriminazione. Nessun paese ha voluto finora accusare i nazistidi Baghdad. Con l’uso di armi chimiche, la dittatura irachena ha voluto distruggere,insieme al popolo diverso, anche il suo habitat, cancellando ogni forma di vita in largaparte dello stesso territorio statuale. I kurdi attendono ancora giustizia per i fatti diHalabja.GUERRA CHIMICA IN IRAKL’uso di armi chimiche da parte del regime iracheno nei confronti della regionekurda risale al 1961. Dopo l’abbattimento della monarchia (14 luglio 1958) e un anno diaperture democratiche il presidente della repubblica, generale Kassem, sceglie ladittatura: mette al bando il Partito comunista e in seguito apre le ostilità nei confronti delPartito Democratico del Kurdistan d’Irak. La conduzione della guerra da partegovernativa comprende il bombardamento aereo dei raccolti con il napalm,l’inquinamento batteriologico delle acque e la liberazione nel territorio di migliaia di topiresi portatori del bacillo del tifo. La guerra, alternata a periodi di non belligeranza,
128continuerà con gli stessi metodi fino alla sconfitta kurda, nel marzo 19751. In seguito, efino al 1989, il regime rade al suolo circa 5.000 villaggi e una ventina di città; vienenuovamente fatto uso in un primo tempo di napalm per bruciare campi e foreste. Lesorgenti sono chiuse con colate di cemento. I resti dei villaggi, campi e boschi vengonocosparsi di mine; almeno venti milioni, su una superficie distrutta grande quanto ilBelgio, che ancora oggi continuano a mietere vittime. La popolazione è deportata in“villaggi strategici”: campi di concentramento, controllati dall’esercito2. Dal 1987, aquesti sistemi si aggiungono i bombardamenti con gas letali per eliminare la popolazione.L’Irak fa uso sporadico di bombardamenti aerei con armi chimiche nel corso dellaguerra che il nuovo presidente Saddam Hussein, insediato nel 1979, aveva scatenatocontro l’Iran su ispirazione di Washington, nel 1980. Nel 1979 all’impero dello SciàReza Palhevi, custode degli interessi statunitensi del Golfo Persico, era subentrata larepubblica islamica dell’ayatollah Khomeini, ostile agli Usa, mentre l’Irak, in precedenzavicino all’Unione Sovietica, aveva completato il suo percorso di avvicinamento all’orbitaamericana: la guerra con l’Irak avrebbe dovuto in breve tempo stabilire la supremaziairachena nell’area, in rappresentanza degli interessi del potente alleato occidentale.L’uso di armi chimiche nella guerra tra i due stati non venne negato dall’Irak: alledenuncie iraniane e ai richiami internazionali il ministro degli esteri Tarik Aziz avevarisposto che è diritto di uno stato sovrano utilizzare le armi ritenute più opportune.Nel corso della guerra con l’Iran, il primo attacco con armi chimiche del regimeiracheno nei confronti della propria popolazione kurda risale al 15 aprile 1987. Vennerobombardati alcuni villaggi in provincia di Sulaimania e in seguito anche in provincia diArbil; i feriti furono successivamente prelevati dall’esercito, eliminati e frettolosamentesepolti insieme ai morti negli attacchi, che continuarono.3HALABJA, LE EMOZIONI E IL SILENZIOTra le operazioni con armi chimiche condotte dall’Irak nei confronti della suastessa popolazione kurda, la prima a rompere la barriera del silenzio fu la strage diHalabja. Halabja era un florido centro agricolo di 70.000 abitanti, capoluogo della regionedi Hawraman, separata dal vicino Iran dalla catena dei monti Shabo. La città era stata ilcentro del piccolo, leggendario principato di Hawraman, rimasto indipendentenell’impero Ottomano fino alla prima guerra mondiale, noto a diplomatici e viaggiatorioccidentali per essere governato con saggezza, negli ultimi decenni della sua esistenza, da 1 Il 6 marzo 1975 l’accordo di Algeri, sponsorizzato dagli Stati Uniti, tra l’Irak e l’Iran, determina ilritiro di ogni sostegno ai combattenti dell’armata popolare kurda, che nell’ultimo periodo del conflitto siera resa dipendente dall’Iran per le forniture di munizioni. La guerra contro l’Iran venne scatenata dall’Iraknel 1980 per la medesima questione di confini già regolata dall’accordo di Algeri.2 La distruzione comprese siti archeologici e monumenti storici. In particolare, l’Unione Patriottica delKurdistan documentò la distruzione nell’area di decine di antichissime chiese e di monasteri cristiani.L’Unione Patriottica del Kurdistan è un partito socialista democratico nato poco dopo la sconfitta kurdadel 1975; attualmente è il partito di maggioranza al governo di una parte della Regione autonoma,fondata nel 1992 dalle forze kurde.3 Su questi fatti, ben poco noti, esiste una risoluzione di condanna del Parlamento Europeo. Fu quella laprima occasione in cui un esponente kurdo entrò nel palazzo di Strasburgo: dopo aver preso accordi conl’europarlamentare italiano Alberto Tridente, avevo accompagnato presso il gruppo Arc-en-ciel AhmedBamerni, rappresentante in Europa dell’Unione patriottica del Kurdistan, che aveva denunciato edocumentato gli attacchi chimici.
129una donna dinamica e ospitale, la principessa Adela. Il 16 e il 17 marzo 1988 Halabja èbombardata a tappeto da successivi stormi di aerei con un composto di iprite, gasnervino e altri agenti letali. Viene sganciata una bomba chimica ogni venti metri, in mododa non lasciare scampo. In un primo tempo le vittime sono calcolate in oltre cinquemila;poco dopo si parlerà di dodicimila, tutte fra i civili. Uomini, donne, bambini sorpresinella loro vita quotidiana, senza alcuna possibilità di difesa. Dopo gli attacchi chimici,Halabja è distrutta con la dinamite, edificio per edificio, come già era successo ad altrecittà del Kurdistan (e come accadrà ancora, l’anno successivo, a Kala Dize).Oltre il confine iraniano si rifugiarono i feriti e gli scampati al massacro. E fu latelevisione iraniana a fornire al mondo le prime atroci immagini di bambini e bambinefalciati all’uscita dalle scuole, di giovani mamme strette nell’ultimo abbraccio al neonatoche stavano allattando, dell’uomo riverso sulla strada che stringe al petto, cercando diproteggerla, la figlioletta di pochi mesi. Nella città ora in parte ricostruita dopo la Guerradel Golfo del 1991, quest’ultima immagine, che aveva fatto il giro del mondo suglischermi televisivi, nella stampa illustrata e perfino sui francobolli, è diventata l’unicomonumento e, posta all’ingresso della città, accoglie i visitatori nella memoria dellevittime di quei giorni di marzo.Baghdad dichiarò che la città era stata punita perché non aveva opposto adeguataresistenza ad una (temporanea e parziale) occupazione dell’area da parte di alcuni repartidell’esercito iraniano: la guerra con l’Iran infatti non si era risolta nell’auspicato blitz,durava ormai da otto anni e vedeva l’Irak in difficoltà. In realtà, l’attacco ad Halabja erala prosecuzione della campagna di genocidio Anfal, (dal Corano: “prede di guerra”) finoad allora segreta, che il regime aveva intenzione di completare non appena concluso losforzo bellico, al fine di giungere ad una “ristrutturazione del Kurdistan” che prevedevala distruzione dell’ intero territorio, l’eliminazione dei suoi abitanti e la deportazione deisuperstiti nei campi di concentramento.Le terribili immagini del mattatoio di Halabja fecero il giro del mondo, suscitando leproteste internazionali; durissima fu la risoluzione di condanna del Parlamento europeo.Il PE, nella “Risoluzione sull’uso delle armi chimiche nella guerra Iran-Irak”, citando le5.500 vittime della città morta, si dichiara “oltraggiato dal governo iracheno, che haincommensurabilmente aumentato gli orrori di questa guerra con l’uso di armi chimiche,in particolare durante gli attacchi aerei del 16-17 marzo 1988 sulla città kurda di Halabjae su altri luoghi situati in territorio iracheno” e si dice “profondamente impressionatodall’evidenza che il governo iracheno ha iniziato quella che assurge ad una guerra disterminio contro i kurdi d’Irak, usando armi chimiche e perpetrando esecuzioni di massadei prigionieri (…); condanna nei termini più forti possibili l’uso di armi chimiche in Irakin flagrante violazione della legge internazionale”.Tuttavia l’ONU, dopo aver inviato una missione ad Halabja (arrivata nella cittàattraverso il confine iraniano) che confermò il massacro chimico, si produsse soltanto, econ grande ritardo, in una risoluzione debole, generica e non adottò nei confronti dell’Irakle sanzioni obbligatorie previste dal capitolo 7 della sua stessa Carta. Inutilmente leassociazioni internazionali letteralmente supplicarono, per giorni e giorni, inquell’occasione, la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani a Ginevra, diadottare un comportamento più incisivo. Si disse, allora, che in mancanza di una chiaracondanna e della minaccia, almeno, di sanzioni, l’Irak avrebbe continuato nel genocidio
130chimico della sua popolazione kurda. I successivi eventi confermarono le peggioriprevisioni.LA SOLUZIONE FINALE DEL PROBLEMA KURDOLa strage di Halabja aveva avuto un impatto deterrente nei confronti dell’Iran:venne recepito il messaggio che i missili iracheni, in grado di raggiungerne le principalicittà, compresa la capitale, potevano essere armati con testate chimiche. E infattiall’accordo del cessate il fuoco – peraltro mai perfezionato in un trattato di pace – siarrivò poco dopo, nel luglio dello stesso anno. All’armistizio la repubblica islamica si erapiegata non soltanto per l’intervento diretto nel conflitto delle forze statunitensi (conl’occupazione, tra l’altro, dell’isolotto di Faw da parte dei Navy Seals e conl’abbattimento di un aereo civile e conseguente morte di oltre 300 persone, da parte diuna nave da guerra americana) ma anche – come ammisero alcune autorità di Teheran -per la minaccia di guerra chimica contro obiettivi civili, che dopo l’atroce caso di Halabjaterrorizzava la popolazione dell’Iran e minava la sua determinazione a resistere nellosforzo bellico.Appena il cessate il fuoco diventa ufficiale, il 20 agosto 1988, Baghdad scatenal’”operazione finale” contro la regione kurda del Badinan, un’impervia area montana di10.000 km2 ai confini con la Turchia. Sono bombardati centinaia di villaggi; lapopolazione in fuga è attesa e falciata dai militari appostati sulla via dell’esodo e daglielicotteri da guerra. Sessantamila soldati, non più impegnati contro l’Iran, sono impiegatinell’operazione, appoggiati da bombardieri e elicotteri da guerra. Non si è mai potutocalcolare con esattezza il numero delle vittime, stimato comunque in diverse decine dimigliaia; nella sola località di Baze Gorge le truppe irachene attrezzate con tenute emaschere antigas massacrano all’arma chimica 2.980 civili, bruciandone poi i cadaveri.Dopo i gas, nell’”assalto finale”, i villaggi vengono rasi al suolo. La distruzione chimicadel Badinan – esseri umani, ed anche gli animali (compresi pesci, uccelli, api da miele, chemorirono perfino in Turchia), il terreno, la vegetazione, le acque – continua dal 25 agostoal 9 settembre, quando le forti denuncie del genocidio da parte delle associazioni per idiritti umani, l’emozione dell’opinione pubblica (giornalisti e osservatori non sonoammessi nel Kurdistan, ma si possono raccogliere le testimonianze dei profughi oltre ilconfine iracheno), le proteste di molti paesi democratici e la minaccia di concretesanzioni costringono l’Irak a sospendere la “soluzione finale” del problema kurdo.CONTAMINAZIONE NEL TEMPOQuali sono le armi chimiche usate da Saddam Hussein? Dopo la strage di Halabja,si tenta di indagare. Il dottor Jean Brière, in una conferenza all’Università di Lyon, elencaiprite, acido cianidrico e gas neurotossici, come Sarin e Soman. Il professor AubinHeyndrickx, tossicologo belga di fama mondiale, ritiene trattarsi di un miscuglio di ipritee di gas neurotossico, probabilmente Tabun, utilizzato sia ad Halabja che nel Badinan. Ildottor Kamal Keituly, chimico kurdo ricercatore a Glasgow, ricorda che, mentre neglianni 60-70 si trattava di gas solfurici, fosfori e nitriti, conservati in tubi che venivanisganciati dagli elicotteri, oltre all’iprite e ai gas all’idrogeno vengono usati ad Halabja igas nervini Sarin, Soman, Tabun e VX. I gas iracheni provocano una morte atroce; a volte
131la cecità e lesioni incurabili. Nel dicembre 1991, ad Halabja, un medico mi avevapresentato una delle pazienti dell’ospedale da campo (26 letti, installato dai francesi).Amina Khan, una madre quarantenne, aveva perso 34 parenti il 16 marzo dell’88. Mimostrò una estesa ferita al fianco che non si rimarginava. Era stata curata a Teheran e poia Londra, ma la piaga non si era mai chiusa. Non solo. Dopo Halabja e dopo il Badinan,esperti di vari paesi avevano avvertito che gli effetti della contaminazione avrebberoagito attraverso le successive generazioni. Christine Gosden, docente di genetica medicaall’Università di Liverpool, ha svolto una ricerca sul campo nel decennale del massacro eha pubblicato sul Washington Post (21 marzo 1998) una sintesi dei risultati.“Ero preoccupata sui possibili effetti di malformazioni congenite, fertilità e cancro,in donne e bambini e nell’intera popolazione” scrive la genetista. “Temevo anche effetti alungo termine, come cecità e danni neurologici, per i quali non si conoscono cure. Quelche trovai era molto peggio di quanto temessi. Gli agenti chimici avevano colpitoseriamente gli occhi, l’apparato respiratorio e il sistema neurologico. Molti eranodiventati ciechi. Le anomalie della pelle erano frequenti e spesso si evolvevano in cancrodella pelle. Lavorando con i medici del luogo, trovammo che la frequenza di infertilità,malformazioni congenite e cancro, anche nei bambini, erano tre o quattro volte maggioridi quanto si verifica in una città non esposta nella stessa regione. Ancora dieci anni dopo.Un crescente numero di bambini muore ogni anno di leucemia e linfoma. Il cancro sisviluppa nei giovanissimi più che altrove, e molti hanno tumori aggressivi, con tassielevati di mortalità. Non esiste chemio o radio terapia nella regione (…) Le conseguenzaneuropsichiatriche sono evidenti, con casi di grave depressione o con allarmanti tendenzesuicide.La scoperta di serie malformazioni congenite con cause genetiche nei bambini natianni dopo l’attacco chimico suggerisce che gli effetti della guerra chimica si trasmettonoalle generazioni successive, causando aborti, mortalità neonatale e infertilità. Molti hannopiù di un male, come problemi respiratori, danni agli occhi, disordini neurologici,problemi di pelle, cancro e sono numerosi i bambini con malformazioni congenite ehandicap mentali (…)C’è scarsissima conoscenza medica o scientifica sulle cure delle vittime di unattacco chimico come questo, con esposizione a strane combinazioni di gas tossici. Cisono condizioni che non sono state mai viste o riferite prima.”4Un’altra conseguenza a lungo termine è la distruzione dell’ambiente. Campioni diacqua prelevati dai pozzi di Halabja circa cinque anni dopo l’attacco chimico dal dottorCarlo Boldrini (ACIK – Associazione Culturale Italia-Kurdistan) si erano rivelaticontaminati; l’ACIK si fece promotrice di interventi di ONG italiane per migliorare lasituazione dell’acqua nell’area. Sempre nel 1991 un profugo tornato dall’Iran, exagricoltore, mi aveva indicato, in una regione devastata dai bombardamenti iracheni,distante da Halabja, tra Shaklawa e Sulaimania, degli scheletri di alberi rinsecchiti:“Questa era una buona terra, ma è stata avvelenata dalle armi chimiche e da quasi cinqueanni è abbandonata. Vede quegli alberi? Erano alberi da frutta”. 4 Un documentario sul lavoro di Christine Gosden ad Halabja, La bomba a orologeria di SaddamHussein, è stato realizzato dalla televisione britannica Channel 4. E’ distribuito in videocassetta dalComitato Cittadino di Solidarietà con il Popolo Kurdo di Siena, presso la locale sede ANPI, in viaMaccari 1. Il Comitato ne ha curato il doppiaggio in lingua italiana.
132LA DEBOLEZZA DEI POTENTIIndubbio è il fatto che l’inadeguata reazione della comunità internazionale abbiaincoraggiato Saddam Hussein a portare avanti il progetto di genocidio. Il regime diBaghdad contava innanzitutto sulla segretezza: fino al 1991 giornalisti, osservatori,diplomatici non avevano accesso in Kurdistan (se non clandestinamente, attraversoconfini provvisoriamente controllati dai pesh merga; e si rischiava – come accadde ineffetti ad un giornalista britannico nella primavera del 1989 – di essere impiccati dalgoverno). Quando Teheran, che all’epoca controllava in quell’area la frontiera irachena,dopo aver diffuso le prime immagini di Halabja, consentì l’ingresso della stampa esteranella città della morte, avvenne anche una mobilitazione dell’opinione pubblica nelmondo.Anche nel caso del Badinan il dittatore contava sul silenzio. Ma la presenza di unagrande massa di profughi e feriti in Turchia e in Iran non poteva passare inosservata. Siintensificano le condanne verbali del mondo democratico.5 Fino alla proposta di unprovvedimento concreto. Il senato americano invia al confine turco una delegazione, checonferma dettagliatamente il massacro chimico. Il 9 settembre, diventa legge un progettodel senatore Clairbone Pell, votato a tempo di record dal senato e dal congresso. La leggeprevede tagli per 200 milioni di dollari ai crediti forniti all’Irak dalle banche statunitensi,crediti attraverso i quali Baghdad può comprare armi e altro materiale tecnico estrategico, e interrompe altri crediti per 600 milioni di dollari in beni agricoli, nonché leimportazioni di petrolio. Inoltre, gli USA porranno il veto a qualsiasi prestito diistituzioni finanziarie internazionali nei confronti di Baghdad.Il mondo arabo, già schierato con Saddam Hussein (compresa l’OLP, la cuidirigenza all’epoca era ospitata a Baghdad) insorge. Il Consiglio ministeriale della LegaAraba, riunito il 13 settembre a Tunisi su richiesta di Baghdad, proclama la sua “totalesolidarietà con l’Irak”. In sintonia con Baghdad, che organizza manifestazioni perdenunciare “il complotto americano-sionista contro la nazione araba e la causapalestinese”, i singoli paesi arabi e la Lega proclamano a gran voce che l’allarmeinternazionale per il massacro dei kurdi è soltanto il frutto di una “campagnamenzognera, gestita da una lobby americana e israelita”.L’amministrazione Reagan, in ossequio al mondo arabo e preoccupata che altrenazioni occidentali potessero continuare i lucrosi affari con l’Irak in cui si profilavaanche il business della ricostruzione post-bellica, si oppone alla legge, e il presidente nonla ratifica.6Infine, gioca ancora una volta nella questione kurda l’inerzia delle Nazioni Unite.L’ONU, che tante risoluzioni aveva adottato a favore di altri popoli perseguitati, rimane 5 Per esempio, il 15 settembre 1988 il Parlamento europeo adotta con 76 voti contro uno, una risoluzioneche condanna il massacro dei kurdi con armi chimiche. I parlamentari si dicono “scandalizzati dal governoiracheno, che fino ad oggi ha ignorato la riprovazione internazionale”. Alla seconda visita kurda alParlamento europeo avevano partecipato i leader di tutti i partiti del Kurdistan iracheno (otto, compresoquello dei cristiani) che nel luglio 1988 si erano uniti in un Fronte Nazionale.6 Nel decennio 1980-90 gli USA sono stati i principali finanziatori di Saddam Hussein, ampliando icrediti e le esportazioni (anche di armamenti, tecnologie e sostanze chimiche) in violazioni delle giàlargheggianti leggi del paese, con ogni genere di espedienti e principalmente attraverso i finanziamentidell’italiana Banca Nazionale del Lavoro, sede di Atlanta, in complicità con il governo italiano e con ilpresidente della BNL Nerio Nesi.
133in silenzio. Vince la tesi (di Baghdad) secondo la quale le Nazioni Unite non sonolegittimate ad intervenire perché si tratta di una questione interna dello stato iracheno.Nessuno dei paesi membri osa chiedere la convocazione di una riunione ad hoc. Vi èsoltanto una richiesta di indagine presentata il 12 settembre da Giappone, GranBretagna, RFT e Stati Uniti e controfirmata da otto paesi europei, inclusa l’Italia. Il 15settembre il gruppo di esperti designati dall’ONU è pronto a partire. Il regime irachenooppone una “irricevibilità categorica” alla domanda di ispezione, e il tentativo siestingue.La dittatura irachena nel 1988 esce immune da uno degli episodi più atroci delsecolo. Non solo: all’Irak si continueranno a fornire prestiti, a vendere legalmente eillegalmente armamenti, oltre a tecnologie e sostanze tossiche cosiddette a doppio uso,civile e militare, ben sapendo che esse vengono impiegate soltanto o soprattutto nellafabbricazione di ordigni bellici. E in prima fila tra i partner commerciali di SaddamHussein si trovano le grandi democrazie occidentali, che sarebbero fondate sul rispettodei diritti umani e delle leggi internazionali, e che continuano i loro affari anche dopol’invasione del Kuwait e fino alla vigilia della guerra del Golfo.7Si deve appunto all’invasione del Kuwait il fatto che l’eliminazione del popolokurdo e la distruzione del Kurdistan, continuata nel 1989, non siano stati completati. Eprobabilmente la debole reazione dei potenti del mondo nei confronti di un evidentegenocidio e di una contaminazione ambientale che aveva lambito anche gli stati confinantifu tra i motivi che fecero ritenere a Baghdad di poter uscire indenne anche dalla nuovaimpresa. Il che sostanzialmente è avvenuto, poiché l’isolamento e l’embargointernazionale hanno rafforzato il potere del dittatore anziché intaccarlo.GENOCIDIO E DISTRUZIONE DELL’AMBIENTEDopo la guerra del Golfo, nelle sedi governative delle aree liberate dai kurdil’amministrazione provvisoria dei pesh merga sequestrò un’immensa quantità didocumenti: le prove del genocidio. Diciotto tonnellate di documenti ufficiali sulleintenzioni, la pianificazione e le azioni del regime si trovano ora nell’Archivio delCongresso degli Stati Uniti. Per la prima volta nella storia la documentazioneinconfutabile delle più atroci violazioni dei diritti umani commessa da un governo ancoraal potere (e con le stesse persone, a partire da Saddam Hussein fino a suo cuginio Alì AlMajid, detto Alì il Chimico, ex governatore del Kurdistan) si trovano all’estero. Lacommissione di esperti che ha esaminato quella montagna di materiale ha concluso cheesso dimostra con la massima evidenza che non si trattò di sporadiche atrocità o dicrimini di guerra e neppure di generici crimini contro l’umanità, ma di un vero e proprio 7 Sulla vendita all’Irak di uranio impoverito, utilizzabile soltanto per scopi bellici, autorizzata dal RegnoUnito il 5 agosto 1990, dopo l’embargo dell’ONU seguìto all’invasione del Kuwait: Irak, tempesta suLondra di Laura Schrader, il manifesto, 28 luglio 1992. Sulla concessione da parte del presidenteamericano Bush di ulteriori finanziamenti all’Irak, scavalcando il Senato che li aveva bloccati, nel luglio1990: La politica di Bush nei confronti dell’Irak non fu un errore di Leslie H. Gelb, New York Times,10 luglio 1992. Gelb, già sottosegretario alla Difesa nella presidenza Carter, è un esperto di politicaamericana e mediorientale. Sostiene che l’amministrazione di Georg Bush ha continuato a sostenereSaddam Hussein nonostante la guerra per la liberazione del Kuwait e che appunto non fu un errore, ma uncalcolo politico, la mancata conquista di Baghdad e la mancata cattura del dittatore. Tesi confermata inseguito apertamente dal comandante in capo delle forze alleate nella guerra di Golfo, NormanSchwarzkopft.
134genocidio. Impallidiscono, al confronto, i pur tragici fatti di Bosnia e appare pretestuosol’intervento in Kosovo. Ma l’Irak del petrolio non è la Jugoslavia di Milosevic. La Corteinternazionale di giustizia dell’Aja non si apre di fronte alla tragedia kurda. Secondo ildiritto internazionale, per processare Saddam Hussein occorre che almeno uno statopresenti una formale richiesta di incriminazione. Nessun paese al mondo ha voluto finoraaccusare i nazisti di Baghdad; anche nelle risoluzioni dell’ONU che si occupano dell’Irak,mai si è levata la voce di un qualsiasi governo a sollevare l’accusa, neppure quella degliStati Uniti, che custodiscono una documentazione completa e inattaccabile. Anzi, fino adora la politica statunitense dimostra un ben diverso indirizzo: il voler mantenere il piùpossibile al potere il dittatore iracheno, anche attraverso il blocco economico, chedanneggia la popolazione e rafforza il clan di Saddam Hussein. In questo contesto vaforse collocato un tentativo europeo rimasto senza séguito e soffocato nel silenzio. Neaveva dato notizia Akin Birdal, l’attivista turco per i diritti umani noto e stimato in tuttoil mondo. Parlando in una conferenza stampa sia nel ruolo di presidente di IHD(Associazione per i Diritti Umani in Turchia) sia come vice presidente della FederazioneInternazionale per i Diritti Umani, in occasione del decimo anniversario della strage,Birdal aveva annunciato la prossima formazione di un Tribunale internazionale per icrimini di Halabja. La richiesta in tal senso, avanzata dalla Federazione (di cui fannoparte le più importanti associazioni internazionali per i diritti umani) ai paesidell’Europa unita, era già stata accettata – spiegava Birdal – e il Tribunale sarebbe statooperativo dal luglio dello stesso anno, il 1998. I primi ad essere incriminati dovevanoessere Saddam Hussein e Tarik Aziz.8 L’iniziativa, data per certa dalla Federazione, èevidentemente sfumata nel nulla, anche se dopo di allora si sono intraprese diverseiniziative giudiziarie nei confronti di capi di stato responsabili di violazioni dei dirittiumani.Non c’è dubbio che la strage di Halabja, insieme ai massacri con armi chimiche chel’avevano preceduta nel 1987 nelle provincie di Sulaimania e Arbil e i successivi attacchinel Badinan, sia stata uno degli episodi – il più vistoso ed emblematico – di unapianificata operazione di genocidio. Il genocidio è definito dalla Convenzione delleNazioni Unite del 1948 come l’espressione della “intenzione di distruggere in tutto o inparte i gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi in quanto tali”. Non credo esista unaltro esempio di dittatura che insieme al popolo diverso abbia voluto distruggere anche ilsuo habitat, cancellando sistematicamente ogni forma di vita in larga parte dello stessoterritorio statuale. Nel caso del Kurdistan iracheno, l’eliminazione, parzialmente attuata,del popolo diverso dalla maggioranza araba ha comportato anche la distruzione e lacontaminazione nel tempo di un territorio fertilissimo, di acque, campi, foreste, ricco divillaggi e di città fiorenti, a spiccata vocazione agricola e pastorale, della sua variegataflora e fauna domestica e selvatica, delle sue memorie storiche risalenti all’alba dellaciviltà. Il desolato scenario da incubo del Kurdistan annientato e le sofferenze deisopravvissuti non sono un’esperienza che si possa cancellare. Nel nome dell’umanitàtutta, in attesa di una giustizia che forse per i kurdi non verrà, non dimentichiamo i ventidi morte sul Kurdistan. Non dimentichiamo Halabja. 8 Turkish Daily News, 20 marzo 1998. Il 12 maggio dello stesso anno Akin Birdal cadeva sotto i colpidi arma da fuoco sparati da due attentatori che si erano introdotti nel suo ufficio, nella sede centrale diIHD ad Ankara. È sopravvissuto ma riporta lesioni permanenti.
135BIBLIOGRAFIALibri- Samir Al Khalil, Republic of Fear: The Politics of Modern Iraq, Londra 1989;- Ismail Besikci, Kurdistan, una colonia internacional, Madrid 1992;- Alan Darwish, Kurdistan. Una nazione smembrata, Roma 1996;- Alan Freeman, La madre di tutte le tangenti, Milano 1993;- Jasim T. Mustafa, Kurdi. Il dramma di un popolo e la comunità internazionale,Pisa 1994;- Jasim T. Mustafa, L’ingerenza umanitaria: il caso dei Kurd. Profilo storico-giuridico, Pisa 1996;- Jonathan C. Randal, I curdi, Roma 1998;- Laura Schrader, Sulle strade del Kurdistan, Torino 1998;- Fabrizio Tonello, Operazione Babilonia. I segreti della Bnl di Atlanta e ilSupercannone di Saddam Hussein, Milano 1993.Documenti- Amnesty International, Rapporti annuali – Irak;- Amnesty International, Irak: i bambini vittime innocenti della repressionepolitica, Roma 1989;- Artsen Zonder Grenzen – MSF Holland, Report Mission Kurdistan, 14-17 marzo1988;- Kamal Ketuly, L’uso delle armi chimiche nel Kurdistan iracheno in “IlKurdistan” – Atti del Convegno internazionale, Firenze marzo 1990, I Diritti deiPopoli, Roma, anno V n. 9-12, settembre-ottobre 1990;- Laura Schrader, La repressione nel Kurdistan iracheno, ibidem;- Senato degli Stati Uniti – Comitato per i rapporti con l’estero. Rapporto Ufficiale“L’uso di armi chimiche in Kurdistan – L’ultima offensiva irachena” relatoriPeter W. Galbraith e Christopher Van Hollen jr., (traduzione italiana a cura delPUK – Unione patriottica del Kurdistan – Italia), 21 settembre 1988.Documenti del PUK (Yasheti Nistamani Kurdistan)- Appello alla pubblica opinione mondiale sull’uso di gas venefici e armi chimichein Kurdistan, di Jalal Talabani, segretario generale del PUK, 22 aprile 1987;- Appello alle Nazioni Unite sull’ulteriore uso di gas venefici, di Jalal Talabani, 4settembre 1987;- Appello urgente alle Nazioni Unite, di Jalal Talabani, 20 febbraio 1988, appendiciE e F.Laura Schrader scrive da oltre venticinque anni sulla questione kurda per quotidiani e periodici.Grazie ai rapporti d’amicizia e collaborazione con intellettuali e politici del Kurdistan, ha potutoconoscere i diversi aspetti della cultura e della lotta del popolo kurdo e della realtà della loro terradimenticata. Ha partecipato e partecipa ad incontri e conferenze in Italia e all’estero e ha svolto seminariper insegnanti e corsi per studenti in licei e università. Nell’ultimo decennio ha pubblicato: Cantid’amore e di libertà del popolo kurdo (Newton Compton, Roma 1993), I fuochi del Kurdistan(Datanews, Roma 1995), Sulle strade del Kurdistan (Edizioni Gruppo Abele – EGA, Torino 1998), Ildiritto di esistere. Storie di Kurdi e Turchi insieme per la libertà (EGA, Torino 1999).
136Laura Schrader has been writing about the Kurdish question for twenty-five years on newspapersand periodicals. Due to her friendship and collaboration relations with Kurdish intellectuals andpoliticians, she was able to know from different angles the culture and the struggle of the Kurdish peopleand the facts of their forgotten land. She took (and takes) part in meetings and conferences in Italy andabroad, gave seminars for teachers and held courses for high school and University students. In the lastdecade she published: Love and freedom lyrics of the Kurdish people (1993), Kurdistan fires (1995), Onthe roads of Kurdistan (1998), The right to exist. Stories of Kurds and Turks together for freedom(1999) (all of them in Italian).THE CHEMICAL MASSACRE OF HALABJA IN 1988AbstractIraqi regime uses napalm and bacteriological weapons in the repression of theautonomist Kurds revolt guided by Mullah Mustafa Barzani (1961-1975). Afterwards andup to brink of Kuwait invasion (1975-1989), the regime razes to the ground about 5,000villages and twenty towns, deporting inhabitants. In this period Baghdad uses againnapalm and other chemical weapons to burn fields and forests. Moreover, from 1987,bombards with lethal gases in order to eliminate the population: on 15 April 1987 a fewvillages are bombarded in the province of Sulaimania and later on also in the province ofArbil. The attacks culminate with the bombardment of the town of Halabja. On 16 and 17March 1988 Halabja (70,000 inhabitants) is pattern bombarded by the Air Force withlethal chemical compounds. At least 12,000 the toll of the victims, all of them civilians. Theinternational protests is not followed by any reaction by the UNO, which merely issues ageneric resolution and does not adopts towards Iraq the sanctions of Chapter 7 of UNOCharter. After the cease fire agreement with Iran on 20 August 1988 Baghdad stirs up the“final operation” against the Kurdish region of Badinan. The chemical destruction ofBadinan – human beings, fauna and flora, water, land, vegetation – goes on from 25August 1988 to 9 September, when international protests force Iraq to suspend the “finalsolution” of the Kurdish question. Even after the Badinan massacre the UNO does notinterfere: it is an Iraqi home question.Scientists agree that the chemical weapons used by Saddam Hussein are a mixture ofyperite, hydro-cyanic acid and neuro-toxic gases like Sarin, Soman, Tabun and VX. Thedamages transmit from one generation to the other, as Christine Gosden, a Professor ofMedical Genetics at Liverpool University who made a field investigation ten years after themassacre, recognized. After the Gulf War, in the government buildings in freed Kurdistan,the provisional Kurdish administration seizes eighteen tons of official documents aboutplanning and execution of the extermination of Kurdish people. These documents are nowin the Archive of the Congress of the United States. They prove the genocide: the experts’committee that examined them concluded that it was genocide indeed. According tointernational law, in order to prosecute Saddam Hussein and others responsible, at leastone state has to ask for incrimination. Up to now no country agreed to charge Baghdadnazis. By using of chemical weapons the Iraqi dictatorship tried to destroy at the same timethe different people and his habitat, eradicating all forms of life from entire regions of itsown territory. Kurds are still awaiting justice for the town Halabja.