La crisi infinita del Kurdistan turco

diyabikir

Aggiornato il 03/05/18 at 04:38 pm

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di Matteo Latorraca
Fabio ha svolto per più di 15 anni volontariato e cooperazione nel Kurdistan turco, noto anche come Bakur, con qualche sortita in Siria, Iran e Iraq. Conosce bene la politica della….

regione e mastica il turco. Sebbene non sia la prima volta che assiste a un’escalation di violenza nell’area, Fabio è sconcertato dalla situazione attuale nella zona sud-est della Turchia, dove le forze di Ankara si affrontano con le milizie e la popolazione. “Paradossalmente, adesso è più facile entrare a Kobane o nel Rojava, il Kurdistan siriano, rispetto ad andare in città come Cizre o Mardin”, racconta Fabio, “le autorità turche hanno blindato l’area e imposto il coprifuoco nelle città in rivolta. Tuttavia, gli abitanti non sempre sono informati sugli orari del coprifuoco e sulle zone dove è imposto. In questo modo, la gente ha paura di uscire e i soldati sparano sui chiunque lo infranga. Le famiglie non celebrano i funerali dei loro cari uccisi e tengono i loro corpi in casa, perché non vogliono diventare i bersagli dei soldati turchi. Per difendersi dai tiratori scelti, la popolazione ha messo dei teli che coprono le strade, proprio come a Kobane”. Questa situazione dura da quando le Forze Armate turche hanno iniziato a bombardare le basi del PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan) in Iraq e Siria quest’estate, rompendo, così, il patto di cessate il fuoco firmato nel 2013. In risposta, il gruppo curdo ha condotto diversi attacchi contro le forze di Polizia e l’Esercito. Secondo l’organizzazione TIHV(Türkiye İnsan Hakları Vakfı), un’organizzazione per i diritti umani, dal 16 di agosto ad oggi ci sono state oltre 50 dichiarazioni di coprifuoco, 17 città sono state colpite, 7 distretti coinvolti, 160 morti civili e 1 milione e 300.000 persone sono costrette a vivere sotto assedio. Recep Tayyip Erdogan, il Presidente della Turchia e leader del AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi), ha dichiarato che :«I terroristi verranno combattuti casa per casa, strada per strada. Le trincee che hanno scavato diventeranno le loro tombe». Tutte le operazioni condotte dalle autorità turche sono state definite necessarie per il ristabilimento della pace e dell’ordine nella regione. L’ultima in linea temporale è quella del 21 dicembre 2015. Nelle città di Sur, Nusaybin e Dargecit, i comandanti dell’Esercito turco hanno ordinato agli abitanti che dovranno lasciare le loro abitazioni, diversamente le autorità non possono assumersi la responsabilità di quanto accadrà loro. Ozlem Tanrikulu, rappresentante dell’associazione UIKI (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia), descrive una situazione tragica, dove l’Esercito e la Polizia di Ankara ricorrono alla violenza senz’alcun rispetto dei diritti umani. “I quartieri curdi vengono attaccati con carri armati e bombardati con elicotteri. Le città curde sono circondate su ogni lato da truppe pesantemente armate, ingresso e uscita sono vietati, acqua ed elettricità sono state tagliate”, dice Ozlem, ” il Governo dell’AKP, per il proprio tornaconto e i propri interessi, ha interrotto il dialogo e le trattative in corso con il Movimento di Liberazione del Kurdistan e ha lanciato una guerra contro i curdi. Il Movimento di Liberazione Curdo ha reagito a questi attacchi assumendo una posizione puramente difensiva. Chiediamo che l’Europa intervenga per fermare questo genocidio e perché si prenda posizione contro le politiche di Erdogan”.Nel giugno 2015, l’ HDP (Halkların Demokratik Partisi) che ha una forte componente pro-curda, aveva ottenuto un’inaspettata vittoria piazzandosi come il terzo partito in Turchia e privando Erdogan di quella maggioranza che gli avrebbe permesso di essere il padrone assoluto del Paese. L’AKP fu costretto a scendere a patti con altri partiti secolaristi, il CHP (Cumhuriyet Halk Partisi) e nazionalisti, il MHP (Milliyetçi Hareket Partisi), per creare un Governo di coalizione. Questo risultato fu salutato dalla comunità curda e dagli oppositori del Governo di Erdogan come la svolta per il Paese. Le nuove elezioni, tenute a novembre, dopo che il Governo di coalizione guidato dal partito di Erdogan aveva fallito, hanno decretato la vittoria del AKP e la sconfitta del HDP, che è riuscito per un soffio a superare la soglia di sbarramento. Per molti, la vittoria di Erdogan è stata ottenuta grazie al nuovo clima di paura che si è instaurato nel Paese. Il 20 luglio, una manifestazione in favore della ricostruzione della città di Kobane fu interrotta da un attentato terroristico nella città di Suruc, vicino al confine Siriano. Trentatré persone persero la vita quel giorno, soprattutto membri del Partito Socialista degli Oppressi, ESP. L’attentato fu poi rivendicato dall’ISIS. Questo evento, che per alcuni fu organizzato dai servizi segreti turchi, il MIT (Millî İstihbarat Teşkilatı) per creare un clima di tensione in tutto il Paese, diede il via alla campagna di bombardamenti turca contro l’ISIS al di là del confine siriano e iracheno, anche se poi, l’obiettivo primario è diventato il PKK. La reazione violenta dell’organizzazione ha riabilitato la figura dell’uomo forte, Erdogan, agli occhi di molti turchi e la diffidenza verso i curdi, minando così il processo di cambiamento inaugurato dal sorprendente risultato del’ HDP all’elezioni di giugno. Nel frattempo, l’opposizione si è schierata contro le operazioni nel sud-est del Paese. Sabato 19 dicembre, Selahattin Demirtas, leader dell’HDP, ha rivolto dure critiche al Governo :«A Cizre avete mandato 10.000 soldati supportati dai carri armati e aerei, contro un manipolo di guerriglieri del PKK. Ciò non vi rende coraggiosi. Anzi, i bombardamenti e la distruzione che state causando rendono ancora più chiaro quanto voi siate senza speranza». Il Primo Ministro turco, Ahmet Davutoglu, ha bollato Demistras come :«Il portaparola del PKK. La sua politica non è altro che un miscuglio di provocazione, terrore e caos. Se il loro obiettivo è quello di dividere il Paese, noi glielo impediremo». Né il Presidente Erdogan, né il Primo Ministro Davutoglu, né tantomeno l’Esercito e la Polizia turca si sono dette disposte a intavolare alcun tipo di trattativa prima che ogni membro del PKK abbia deposto le armi. Dall’altra parte, i militanti del PKK non vogliono arrendersi a quello che viene visto come un regime anti-democratico e oppressivo. Membri dell’HDP hanno poi lamentato il fatto che, assieme all’Esercito e alla Polizia turca, operino anche bande paramilitari note come Esedullah, che cantano slogan simili a quelli dell’ISIS e che vanno in giro per la regione coperti dai passamontagna utilizzando eccessiva violenza sulla popolazione civile. “Vorrei tornare in Turchia, ma adesso è veramente troppo pericoloso. Magari in marzo”, dice Fabio, “tutta questa situazione non è altro che colpa di Erdogan. Collabora con l’ISIS tramite i suoi servizi segreti, mentre si fa paladino della lotta al terrorismo. In realtà, il suo unico obiettivo è quello di instaurare una dittatura, reprimendo qualsiasi forma di opposizione, come i curdi”. –
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