Addio Mubarak

Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm


di Prof.ssa Ercolina Milanesi

Gioia, felicità, danze, canti, baci, carezze, abbracci, pianti, risate, fuochi artificio, barche sul Nilo. Un fiume di parole non basta a descrivere come milioni di egiziani hanno festeggiato ovunque nel paese il sogno divenuto realtà, l’addio alla presidenza dopo ben trent’anni di Hosni Mubarak, l’unico leader conosciuto da almeno la metà della popolazione. Una festa coinvolgente e colorata che andrà avanti nei prossimi giorni e che sancisce la vittoria della «seconda rivoluzione egiziana», quella dei giovani, nota anche come la «rivoluzione 2.0», come l’aveva battezzata giovedì il blogger Wael Ghonim, tra i primissimi promotori dell’insurrezione contro il faraone del terzo millennio dopo Cristo. «Congratulazioni all’Egitto, il criminale ha lasciato il palazzo», così Ghonim ha salutato, ovviamente su Twitter, l’addio del raìs.
Il primo obiettivo è stato raggiunto dal popolo egiziano, ma già si guarda avanti, alla ricostruzione dell’Egitto su nuove basi, politiche ed economiche. La gioia è proporzionale all’incertezza politica. Siamo ad un passaggio fondamentale della storia del più importante dei paesi arabi, che, peraltro, potrebbe dare il via all’effetto domino tanto evocato in Medio Oriente dopo la rivolta tunisina del mese scorso. Dietro l’angolo forse c’è l’insurrezione di giovani e popoli di altri paesi della regione, dominati come lo sono stati gli egiziani, da regimi oppressivi e, quasi sempre, fedeli esecutori delle politiche degli Stati uniti. Mubarak, lasciando la presidenza ha trasmesso i suoi poteri allo stato maggiore dell’esercito guidato dal generale Mohammed Tantawi, il ministro della difesa. Tantawi è una figura grigia e poco stimata – anche se ieri sera era davanti al parlamento a salutare la folla – che con ogni probabilità sarà soltanto il volto e il portavoce del Consiglio militare supremo dove svetta il capo di stato maggiore, generale Sami Enan, un comandante che piace molto agli Stati uniti e che gode di simpatie anche tra i Fratelli musulmani, per la sua «onestà e rettitudine». Enan e gli altri generali saranno il presente dell’Egitto, nella speranza che non diventano anche il futuro del paese, violando l’impegno preso di garantire l’avvio di quel processo di riforme democratiche per il quale hanno lottato milioni di egiziani e sono morti oltre 300 manifestanti.
«In nome di Allah il misericordioso e il compassionevole: cittadini, durante le difficili circostanze che sta attraversando l’Egitto il presidente Hosni Mubarak ha deciso di lasciare la carica di capo dello Stato e ha incaricato lo stato maggiore delle forze armate di amministrare gli affari del paese. Che Allah possa aiutare tutti». Con queste parole il vicepresidente Omar Suleiman ha annunciato in un brevissimo intervento televisivo l’abbandono del potere da parte del raìs, senza aggiungere alcun dettaglio sul suo futuro personale o quello del premier Ahmed Shafiq. Mubarak, che in un discorso trasmesso giovedì aveva rifiutato di dimettersi, ieri mattina ha lasciato improvvisamente il Cairo per recarsi alla sua residenza di Sharm el Sheikh, nel Sinai, mentre piazza Tahrir si riempiva nuovamente di centinaia di migliaia di dimostranti e altre decine di migliaia di persone circondavano diversi palazzi delle istituzioni, la televisione di stato e si avvicinavano alla residenza del presidente.
Alla notizia delle dimissioni la folla ammassata nella piazza Tahrir, epicentro per due settimane delle proteste, è esplosa di gioia. «E’ fatta, siamo all’epilogo. Mubarak oggi è a Sharm el Sheikh, domani sarà a Jedda come l’ex presidente tunisino Ben Ali», ripeteva Omar, giunto in piazza Tahrir con la moglie e i due figli per godere di un momento che fino a qualche settimana fa nemmeno osava sognare. «Lui non rinunciava alla presidenza ma noi non ci siamo arresi, siamo rimasti qui, certi che presto o tardi avrebbe ceduto», spiegava il dottor Mansour Mahfouz con il camice bianco e un fascia con i colori della bandiera egiziana giunto in piazza assieme ad una nutrita delegazione di medici ed infermieri. Intorno nel frattempo si ballava e cantava, in un tripudio di bandiere egiziane. La gioia dell’annuncio ha cancellato in un attimo la delusione che molti avevano provato dopo la diffusione, in tarda mattinata, del secondo comunicato dei vertici militari, che dava l’idea di un sostegno delle forze armate al raìs contestato da gran parte del paese. «E’ la prova che la politica egiziana è controllata da Israele e Stati uniti» aveva commentato con ira un ex deputato dei Fratelli musulmani, Mohammed Ashiyeh. Poi tutti hanno compreso che sono stati i generali a spedire Mubarak in riva al Mar Rosso. «Per noi la vita ricomincia adesso» ha commentato, appena giunto in piazza Tahrir per i festeggiamenti, il premio Nobel per la pace e uno dei leader dell’opposizione egiziana, Mohammed El Baradei. «Il mio messaggio al popolo egiziano è: vi siete guadagnati la libertà, fatene il miglior uso e che Allah vi benedica», ha proseguito El Baradei, un probabile candidato alla presidenza.
L’Egitto ora è in mano ai militari che i Fratelli musulmani, principale movimento di opposizione, si sono affrettati ad elogiare per «aver mantenuto le promesse». Le incognite però sono tante nonostante l’atteggiamento positivo e vicino alla gente che soldati e ufficiali hanno avuto in questi quindici giorni nei quali hanno presidiato le strade del Cairo e di altre città. Le forze armate non hanno ancora comunicato quale sarà l’iter della transizione. In base all’articolo 84 della costituzione egiziana, in caso di vacanza del potere, la presidenza viene assunta ad interim dal presidente dell’Assemblea del popolo e le elezioni devono venire celebrate entro i successivi 60 giorni. Ma è chiaro che l’esercito non affiderà alcun incarico a Fathi Sorour, speaker di una Assemblea dominata dai deputati del Pnd, il partito di Mubarak, eletta alla fine dello scorso anno tra brogli e frodi senza precedenti, e, quindi, non riconosciuta dal popolo. Fino a ieri il vice-presidente (ed ex capo dei servizi segreti) Suleiman sembrava il più gettonato a guidare il periodo tra il «governo militare» e la nascita di una leadership politica eletta democraticamente. Non piace molto agli egiziani ma Washington e Israele cercheranno di imporlo alla giunta militare che ha preso i poteri, perché è considerato, come dice qualcuno, la «migliore garanzia di stabilità e continuità per l’intera regione».
Non è però chiaro se Suleiman goda del pieno appoggio dell’esercito e ieri sera circolavano voci, rilanciate dalla Bbc, che anche lui avrebbe rinunciato all’incarico dopo un aspro scontro con i vertici militari. Ieri sera è sceso in campo anche il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, che salutando lo «storico cambiamento» in Egitto e ha invitato al «consenso nazionale» dopo le dimissioni di Mubarak. Egiziano, ex ministro degli esteri, Musa fa parte del Consiglio dei saggi e non nasconde le sue ambizioni presidenziali.
Qualsiasi soluzione venga trovata ai piani alti tuttavia verrà respinta dal popolo se non verrà accompagnata dalle riforme annunciate. Gli egiziani in queste due settimane hanno imparato a non avere più paura e non resteranno a guardare di fronte alla nascita di una dittatura militare o di un nuovo regime, simile a quello attuale ma con un nuovo volto.

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