I curdi tra Siria e Turchia

Aggiornato il 03/05/18 at 04:37 pm


di Eugenio Roscini Vitali
In un report pubblicato il 16 luglio scorso, Human Rights Watch (HRW) ha valutato e definito l’attuale regime siriano “un decennio sprecato”, un periodo di tempo nel quale le autorità hanno fatto troppo poco per cambiare le condizioni di una nazione che, sottoposta al riesame della storia, “mostra una costante politica di repressione del dissenso” e una cronica negazione di molte forme di libertà di pensiero ed espressione.

La prima a pagare questa endemica mancanza di democrazia è sicuramente la minoranza curda che, oltre ad essere sottoposta a forti forme di discriminazione, da alcuni anni si trova a fare i conti con un’azione militare sempre più violenta e massiccia. Damasco giustifica la sua politica con la presenza sul territorio di guerriglieri appartenenti al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) ma secondo l’intelligence israeliana alle operazioni parteciperebbero anche militari e mezzi delle forze speciali turche che il governo utilizza nella lotta al terrorismo.

Ad Ankara sono certi che per entrare in Turchia i guerriglieri utilizzino il confine siriano e che a farlo non sarebbero solo gli uomini del Pkk ma anche quelli del Partito per la Vita Libera del Kurdistan (Pjak), altra organizzazione clandestina che di solito opera in Iran e che secondo i servizi segreti turchi verrebbe aiutata da Israele. L’asse tra Ankara e Damasco va quindi vista anche da un altro punto di vista: negli ambienti politici turchi, il sostegno israeliano al Pjak è considerato come una vera e propria minaccia, un appoggio indiretto al Pkk che opererebbe in territorio turco attraverso un’organizzazione parallela.

E’ una teoria che trova il suo fondamento nell’attentato che lo scorso maggio ha colpito la base navale di Iskenderun, nella provincia di Hatay: un atto terroristico di cui sono stati accusati il Pjak e il Pkk, considerato l’organizzatore e la mente dell’operazione. Per debellare la guerriglia curda, Ankara e Teheran hanno più volte effettuato operazioni militari congiunte ed alcune indiscrezioni parlerebbero di elementi israeliani e statunitensi che starebbero addestrando ed aiutando logisticamente e finanziariamente il Pjak.

In Siria sono attualmente in corso tre operazioni militare su larga scala che hanno come obbiettivo i miliziani curdi che secondo le autorità aiuterebbero i guerriglieri del Pkk. Per congelare l’area di operazione ed impedire l’accesso a possibili rinforzi provenienti dall’Iraq, le truppe siriane hanno sigillato il confine orientale. Gli attacchi delle forze speciali stanno interessando sia le zone a cavallo del confine turco che le città nord orientali, dove la presenza curda è più nutrita: Qamishli, Al Asakah, Qaratshuk e Diwar. Numerosi conflitti a fuoco sono stati registrati anche nei pressi della frontiera libanese e a Beirut, dove Damasco può contare sull’appoggio dei miliziani Hezbollah.

Nelle quattro località della Siria settentrionale interessate dai combattimenti gli scontri avrebbero coinvolto anche presunti membri del Pkk e i bombardamenti avrebbero raso al suolo interi quartieri. Secondo fonti israeliane – quindi non certo neutrali – i curdi che hanno perso la vita in combattimento sono almeno 185 e 400 quelli catturati, molti dei quali gia consegnati alla Turchia, ma c’è chi parla di cifre ben più alte, con più di 300 morti e non meno di 1.000 feriti. Non tutte le vittime però sarebbero guerriglieri e numerosi civili, bloccati da una battaglia feroce, avrebbero perso la vita.

I curdi starebbero subendo un vero e proprio assedio e il massacro verrebbe compiuto soprattutto grazie all’utilizzo dei droni Heron (Eitan) che la Turchia ha recentemente acquistato da Israele e che Ankara ha deciso di mettere a disposizione delle operazioni anti-curde in Siria. Nel sofisticato sistema di sorveglianza Eitan, non sarebbero solo utilizzati per seguire le tracce dei guerriglieri, ma c’è chi parla di missioni di ricognizione destinate ad individuare i profughi che stanno cercando di superare la frontiere e che una volta intercettati diventerebbero bersaglio dell’artiglieria.

E’ grazie ad un accordo di 190 milioni di dollari che alla fine dello scorso anno la Turchia ha acquistato da Israele 10 droni Eitan, aerei senza pilota prodotti dalla Elbit Systems di Haifa e dall’Industria Aerospaziale Israeliana (IAI), la company che ha sede nei pressi dell’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Sei velivoli sono stati già consegnati e più di venti ufficiali e i militari turchi hanno ricevuto un corso di addestramento di due settimane nel deserto del Neghev. Considerato il miglior UAV al mondo, l’Eitan fornisce capacità intelligence molto ampie, ha un range di 4.500 miglia e può raggiungere un’altitudine di 4.000 piedi e rimanere in volo più di 36 ore.

Mentre Damasco preferisce non parlare della campagna militare in atto, fonti vicine allo Stato maggiore turco giustificano l’intervento di Ankara con la presenza in Siria di circa 2.000 combattenti del Pkk. Nel campo della sicurezza la cooperazione tra Siria e Turchia non è nuova e ufficialmente è stata ratificata con un accordo bilaterale siglato nell’ottobre del 2009. Questa volta però l’utilizzo del drone Eitan sta generando un vero e proprio caso diplomatico. Fra Ankara e Tel Aviv i contratti di vendita dei sistemi di difesa e di tecnologia high-tech sono infatti regolati da norme rigidissime e nell’ambito degli accordi non è permessa la collaborazione militare con Stati o gruppi nemici.

Nonostante questo la Turchia ha comunque deciso di violare le regole e ha messo a disposizione dei siriani (e dei servizi segreti iraniani) uno dei più avanzati sistemi militari sviluppati da Israele; un vantaggio enorme per Hezbollah che potrebbe addirittura aver studiato il velivolo in condizioni reali di combattimento.
Fonte: Altrenotizie
 

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