Aggiornato il 23/10/25 at 05:28 pm
di Shorsh Surme –——Tutte le élite irachene, ovvero politiche, culturali e mediatiche, hanno concordato sul fatto che il periodo immediatamente successivo alle prossime elezioni parlamentari, previste per l’11 novembre 2025, sarà uno dei periodi più pericolosi che l’Iraq abbia mai vissuto dal 2003. Questo sarà il vero banco di prova per il sistema politico e il futuro governo di Baghdad. Porterà il Paese dalle fasi di fondazione del moderno Stato iracheno e della sua introduzione a livello regionale e internazionale, con tutti i problemi di sicurezza, le guerre terroristiche, le crisi politiche, il caos sociale e le difficoltà economiche che ne conseguono, a una fase completamente diversa: la “fase di attuazione della Costituzione”. Durante questa fase il nuovo governo centrale lavorerà per riposizionarsi strategicamente, tracciando la rotta della propria influenza dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq e proponendo nuove alternative per “un’egemonia regionale congiunta con Washington con gli stessi obiettivi”, con un’ampia accettazione a livello internazionale e regionale, come parte essenziale del cambiamento. Questo è un argomento che è stato recentemente ampiamente discusso e frequentemente trattato da molti media.
Nell’ambito del pensiero globale e della dottrina regionale, e come conseguenza inevitabile dei cambiamenti geopolitici e strategici in atto in Medio Oriente, e in mezzo all’enorme pressione occidentale (americana e israeliana) sull’attuale governo, il quale automaticamente consegnerà le sue dichiarazioni al prossimo governo, osserviamo un declino dei ruoli regionali, con riferimento all’Iran, e un’ascesa di altri ruoli, con riferimento alla Turchia. Entrambi i ruoli sono simili nelle situazioni siriana, libanese e nella nuova Striscia di Gaza, in particolare senza entusiasmo. Ankara desidera fortemente modificare i contorni delle alleanze regionali a suo favore nel prossimo periodo, consentendo l’espansione del ruolo turco in Iraq, dato che le caratteristiche dell’era ottomana hanno iniziato a delinearsi negli ultimi tempi nel nord del Paese.
Gli stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), guidati dall’Arabia Saudita, che si oppongono ai progetti geopolitici iraniani, aspirano a “libanizzare” politicamente l’Iraq, lasciandolo permanentemente in crisi e impantanato in labirinti politici, sociali ed economici da cui è difficile uscire. Ciò porrebbe fine al ruolo dell’Iran in Iraq, un ruolo che considera insensibile agli interessi arabi. L’Iraq si è trasformato da uno stato all’interno del gruppo arabo a un non-stato all’interno del gruppo iraniano, esaurendosi, diminuendo la sua influenza e riducendo significativamente la sua influenza nel paese.
Gli Stati del Golfo sosterranno fermamente queste trasformazioni strategiche, se si verificheranno, e non avranno problemi se i loro interessi convergono o si intersecano con gli interessi turchi a Baghdad. Tutto ciò che conta per loro è un Iraq libero dall’Iran.
Sia la tendenza turca che quella del Golfo rappresentano una conferma morale delle tendenze siriane e giordane in Iraq. La prima si allinea alle tendenze turche, mentre la seconda si allinea automaticamente alle tendenze del Golfo. Nessuna delle parti sopra menzionate desidera agire unilateralmente. Potrebbero formare un’alleanza quadripartita per ragioni di sicurezza ed economiche, al fine di rafforzare la sicurezza nazionale dei rispettivi Paesi, dato che la precedente attività politica a Baghdad ha rappresentato un’attività ostile, soprattutto dopo che le Forze di Mobilitazione Popolare e i movimenti di resistenza hanno acquisito una certa influenza politica all’interno dei governi iracheni.