Aggiornato il 22/10/25 at 04:52 pm
di Shorsh Surme –——–Trent’anni fa i rappresentanti di israeliani e palestinesi si riunirono alla Conferenza di Madrid per avviare negoziati bilaterali. Il loro obiettivo dichiarato era quello di raggiungere un futuro giusto e pacifico nella regione tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, ma in realtà hanno radicato una dolorosa realtà per i palestinesi, sotto un’occupazione permanente da parte di una potenza militare dotata di armi nucleari e con un progetto coloniale espansionistico.
Negli ultimi 30 anni i due principali sponsor occidentali del processo di pace in Medio Oriente, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, hanno proposto numerose iniziative politiche che soddisfano i pilastri formali del “peacebuilding”, ma non riescono a promuovere una soluzione giusta a decenni di esilio, sottomissione e occupazione. Nel 2020 l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato il suo piano “Peace to Prosperity”, che ha tutelato gli interessi di Israele attraverso una serie di accordi di normalizzazione con diversi stati arabi. Le questioni fondamentali e urgenti, prima tra tutte la difesa dei diritti dei palestinesi di fronte all’occupazione militare e all’esilio in corso, sono rimaste assenti dalle agende dei mediatori occidentali.
Questo policy brief mira a delineare le principali ragioni per cui il quadro dei negoziati bilaterali diretti, basato sulla teoria liberale della negoziazione, che è alla base del processo di pace in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi, è del tutto ingiusto e destinato al fallimento. Sostiene che il processo di pace abbia solo contribuito a rafforzare il progetto coloniale di insediamento di Israele e a consolidare il dominio di Israele sui palestinesi. Raccomanda alla comunità internazionale modalità per sostenere i palestinesi nella loro lotta per la liberazione attraverso un quadro che vada oltre i negoziati e i “colloqui di pace”.
La negoziazione liberale ha dominato la politica estera statunitense nel periodo successivo alla Guerra Fredda. In questo contesto, il processo di pace in Medio Oriente è stato presentato come una ricetta ideale per risolvere crisi politiche complesse. Tuttavia, il quadro negoziale liberale è irto di sfide nel contesto di una lotta di liberazione sotto occupazione militare, che alla fine ne porterà al fallimento.
Il processo di pace in Medio Oriente manca di termini di riferimento reciproci e non si basa sulla buona fede. Affinché qualsiasi negoziato significativo e serio porti a una soluzione giusta, deve esserci un interesse condiviso nel raggiungere un accordo tra due parti paritarie. Questo è noto come “negoziare in buona fede” e richiede un terreno comune per raggiungere un compromesso.
Ad oggi Israele non ha riconosciuto l’esistenza dei palestinesi come gruppo nazionale, il che implicherebbe il riconoscimento del diritto palestinese all’autodeterminazione. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), nella sua lettera di riconoscimento del 1993, ha riconosciuto “il diritto dello Stato di Israele a esistere” e ha accettato la Risoluzione 242, nonostante il suo linguaggio vago riguardo alla Nakba, ai diritti dei rifugiati e allo status di Gerusalemme. Israele ha riconosciuto solo l’OLP.