IL 2024 SI APRE CON LE GUERRE E L’INEFFICACE MEDIAZIONE POLITICA

Aggiornato il 02/01/24 at 07:11 pm

di Shorsh Surme –——-Possiamo impedire che il mondo vada a pezzi? Il 2024 inizia con le guerre che incendiano Gaza, Sudan e in Ucraina, e con i processi di pace in crisi. In tutto il mondo gli sforzi diplomatici per porre fine ai combattimenti stanno fallendo. Sempre più leader perseguono i propri fini militarmente, altri credono di poterla far franca.
La guerra è in aumento dal 2012, dopo un calo negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000. I primi sono stati i conflitti in Libia, Siria e Yemen, innescati dalle rivolte arabe del 2011. L’instabilità della Libia si è estesa a sud, contribuendo a innescare una crisi prolungata nella regione del Sahel. E’ seguita poi una nuova ondata di grandi combattimenti: la guerra azero-armena del 2020 per l’enclave del Nagorno-Karabakh, gli orribili combattimenti nella regione settentrionale del Tigré in Etiopia, il conflitto provocato dalla presa del potere da parte dell’esercito del Myanmar nel 2021 e l’assalto della Russia all’Ucraina nel 2022. A ciò si aggiunge la devastazione del 2023 in Sudan e a Gaza. In tutto il mondo sempre più persone muoiono in combattimenti, sono costrette ad abbandonare le proprie case o hanno bisogno di aiuti.
Su alcuni campi di battaglia il processo di pacificazione è inesistente o non porta da nessuna parte. La giunta del Myanmar e gli ufficiali che hanno preso il potere nel Sahel sono determinati a schiacciare i rivali. In Sudan, forse la peggiore guerra in corso per numero di persone uccise e sfollate, gli sforzi diplomatici guidati da Stati Uniti e Arabia Saudita sono stati confusi e poco convinti per mesi. Il presidente russo Vladimir Putin, puntando sul calo del sostegno occidentale a Kiev, cerca di costringere l’Ucraina alla resa e alla smilitarizzazione, condizioni comprensibilmente non accettabili per gli ucraini. In tutti questi luoghi la diplomazia si è occupata solo di gestire le ricadute, negoziando l’accesso umanitario o lo scambio di prigionieri, o concludendo accordi come quello che ha portato il grano ucraino sui mercati globali attraverso il Mar Nero. Questi sforzi, pur vitali, non sostituiscono i colloqui politici.
Laddove i combattimenti sono finiti, la quiete è dovuta meno alla conclusione di accordi che alla vittoria sul campo di battaglia. In Afghanistan i talebani presero il potere mentre le truppe americane se ne sono in buona parte andate, senza contrattare con i rivali afghani. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha raggiunto un accordo alla fine del 2022 con i leader ribelli che ha posto fine alla guerra del Tigré, ma si è trattato più di un consolidamento della vittoria di Abiy che di un accordo sul futuro della regione. L’anno scorso l’Azerbaigian ha ripreso il controllo del Nagorno-Karabakh, con l’offensiva di settembre che ha messo fine a ciò che era iniziato con la sua vittoria nella guerra del 2020, ponendo fine a una situazione di stallo di 30 anni sull’enclave e costringendo l’esodo degli armeni etnici.
Anche le guerre in Libia, Siria e Yemen si sono esaurite, ma senza un accordo duraturo tra le parti o un percorso politico degno di questo nome. In effetti i belligeranti stanno per lo più aspettando la possibilità di impadronirsi di più terre o potere.
Non è certo una novità che le parti in guerra vogliano sconfiggere i rivali. Ma negli anni ’90 una serie di accordi pose fine a conflitti che andavano dalla Cambogia alla Bosnia, dal Mozambico e alla Liberia. Gli accordi erano imperfetti e spesso comportavano concessioni non accettabili. Un periodo segnato dal genocidio ruandese e dagli spargimenti di sangue nei Balcani difficilmente può essere romanticizzato come un’epoca d’oro di pacificazione. Tuttavia la serie di accordi sembrava segnalare un futuro in cui la politica più calma del dopo Guerra Fredda apriva spazio alla diplomazia. Negli ultimi dieci anni tali accordi sono stati pochi e rari.