Le proteste sempre più capillari travalicano etnie e classi sociali minando le fondamenta del regime Iniziate lo scorso 17 settembre nella provincia del Kurdistan iraniano per condannare la morte di Mahsa Amini, le manifestazioni hanno interessato oltre 130 città, con almeno 154 morti e oltre 1.500 arresti

Aggiornato il 08/10/22 at 05:56 pm

di Gianni Sartori —-Da ormai 19 giorni l’Iran è teatro di un’ondata di proteste che ha travalicato classi sociali ed etnie con manifestazioni che si susseguono da nord a sud, da est a ovest in una richiesta corale di maggiori libertà economiche, sociali e di genere che sta vedendo anche episodi di solidarietà da parte di esponenti delle forze di sicurezza, portando la Repubblica islamica di fronte a una delle crisi più gravi dalla sua nascita nel 1979. Iniziate lo scorso 17 settembre nella provincia del Kurdistan iraniano per condannare la morte di Mahsa Amini, deceduta il 16 settembre a Teheran dopo il suo arresto da parte della polizia morale iraniana, le manifestazioni hanno interessato oltre 130 città, nonostante la repressione sempre più intensa da parte delle forze di sicurezza con almeno 154 morti secondo l’organizzazione con sede a Oslo Iran Human Rights, e oltre 1.500 arresti. Da lunedì le proteste hanno coinvolto anche le scuole secondarie di secondo grado caratterizzate dalla divisione tra maschi e femmine, con i video diffusi in rete che mostrano ragazze adolescenti protestare contro i loro stessi dirigenti scolastici.
“Queste manifestazioni sono differenti da quelle del passato”, afferma ad “Agenzia Nova” l’analista geopolitico di origini iraniane, Nima Baheli, osservando che nelle precedenti ondate – 2009, 2018, 2021 – vi erano istanze specifiche e legate a singole problematiche che coinvolgevano alcune fasce della popolazione, come avvenuto nelle proteste per la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad che vedevano una prevalenza della classe medio borghese. “Quelle a cui stiamo assistendo partono da istanze di maggiori libertà economiche e di costumi, unendo donne e uomini, più fasce economiche, tra cui quelle più umili, e parti della popolazione collegate al sistema della Repubblica islamica”, sottolinea l’analista.
Secondo Baheli, le proteste hanno visto anche la presenza di “popolo”, infatti non si sono limitate a particolari componenti, ma hanno coinvolto anche le provincie curde, azere, arabofone “senza che emergessero istanze indipendentiste, mostrando un’adesione a un manifesto comune iraniano con rivendicazioni di maggiori libertà, economiche, sociali e di genere”. Nel merito, i Guardiani della rivoluzione iraniana hanno cercato di ricondurre le proteste imputandole al Partito democratico curdo dell’Iran (Kurdistan Democratic Party of Iran, Kdpi), data l’etnia curda di Mahsa Amini, con attacchi nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, “ma i fatti dimostrano che questa lettura è quanto meno minoritaria”, osserva l’analista.
La trasversalità del movimento di protesta e le sue istanze starebbero anche influenzando esponenti delle forze di sicurezza. Secondo fonti citate dai media vicini all’opposizione e dall’emittente panaraba “Al Arabiya”, sarebbero almeno cinque gli esponenti tra Guardiani della rivoluzione iraniana (pasdaran), basij (milizie paramilitari per la sicurezza interna) e delle Forze armate che avrebbero in qualche modo solidarizzato con i manifestanti. Pur non essendoci conferme ufficiali in merito, Baheli sottolinea che tali episodi possono essere ricondotti alla struttura delle forze di sicurezza, con i pasdaran che sono organiche alle Forze armate, che vede differenze rispetto al quadro dirigenziale centrale sul piano del grado, luogo geografico e anagrafico.
“Essendo manifestazioni che toccano varie parti del Paese, coinvolgendo grandi città e villaggi, può capitare che la gestione locale non sia così oltranzista come potrebbe essere a Teheran”, osserva l’analista. Differenze vi sono anche per quanto riguarda i gradi dei vari funzionari e la loro età anagrafica (in Iran l’età media è di 32 anni), con giovani in servizio di leva non per forza ideologizzati che potrebbero condividere istanze di maggiore libertà. L’analista cita in merito il caso di Hadith Najafi, la giovane di 23 anni divenuta un simbolo delle proteste contro il velo, uccisa lo scorso 24 settembre da sei colpi di pistola durante le manifestazioni a Karaj, circa 20 chilometri a est di Teheran. Secondo diverse testimonianze, a uccidere la giovane sarebbe stato un ufficiale delle forze di sicurezza, il cui nominativo è noto al governo, che avrebbe agito dopo che i suoi sottoposti si erano rifiutati di sparare alla ragazza.
L’entità delle proteste giunge in un momento di grande debolezza dell’Iran sul piano economico, sociale e politico a causa di un sistema, che anche a causa delle sanzioni internazionali, è divenuto sempre più corrotto e ripiegato su sé stesso. A tutto ciò si aggiunge una guida suprema, l’83enne ayatollah Ali Khamenei, ormai anziano e su cui fin dalla sua ascesa nell’89 aleggiano voci di condizioni critiche di salute, e un governo oltranzista come quello guidato da Ebrahim Raisi che ha dato nuova linfa ad entità come la Gast-e ersad, la polizia morale iraniana, rispetto ai suoi predecessori, Mahmoud Ahmadinejad e Hassan Rohani. Come nota Baheli, la stessa leadership iraniana è consapevole della situazione precaria del sistema fortemente colpito dalla pandemia di Covid-19, dello stato della corruzione, dei disastri ambientali. “Il governo e il sistema della Repubblica islamica non sono mai stati così deboli, nemmeno durante la guerra contro l’Iraq, in cui vi era ancora il fervore rivoluzionario che oggi è molto diluito”, afferma l’analista.
Per Baheli, negli ultimi 10-15 anni il sistema si è richiuso su sé stesso estromettendo gradualmente varie parti interne al sistema. Gli esempi sono molteplici e vanno dall’estromissione dei riformatori rappresentati dall’ex premier Mir-Hossein Mousavi, tra i fautori della Repubblica islamica, in carcere dal 2009, ai cosiddetti “conservatori pragmatici” che hanno guidato il Paese con il presidente Hassan Rohani, su cui è pesato il fallimento dell’accordo sul nucleare iraniano, passando per altre figure vicine alla guida suprema ma escluse dalla leadership come l’ex presidente del parlamento e consigliere di Khamenei, Ali Larijani, a cui è stata preclusa la corsa alla presidenza alle elezioni del 2021.
L’Iran sta affrontando dal 2018, anno del ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, una grave crisi economica che si è acuita ulteriormente con la pandemia di Covid-19 tra il 2020 e il 2021 che ha comportato anche il crollo dei prezzi del petrolio, tra le principali entrate economiche del Paese, che riesce ad esportare, soprattutto in Asia, nonostante le sanzioni internazionali. Tra il 2018 e il 2020 l’economia iraniana si è contratta di circa il 12 per cento, mentre il numero degli iraniani poveri è passato da 22 a oltre 30 milioni secondo stime del ministero iraniano delle Cooperative. La classe media iraniana, la spina dorsale del movimento democratico del Paese, è passata dal 45 per cento al 30 per cento della popolazione.
La crisi legata al Covid e le nuove perturbazioni a livello internazionale dovute alla guerra in Ucraina provocata dalla Russia, hanno avuto conseguenze sul tasso di inflazione su base annua che è salita al 41,5 per cento nel mese di agosto, mentre l’inflazione mensile ha toccato, secondo i dati riportati dal Centro di statistiche dell’Iran il 52,2 per cento. Secondo dati diffusi dal quotidiano economico “Financial Tribune”, il tasso di disoccupazione dei giovani iraniani tra i 15 ei 24 anni si è attestato al 24 per cento nel primo trimestre dell’anno iraniano in corso (21 marzo 2022 – 21 giugno 2022), registrando un aumento dell’1,9 per cento anno su anno. Il tasso per i giovani (di età compresa tra 18 e 35 anni) si è attestato invece al 16,6 per cento, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2021. Complessivamente, il tasso di disoccupazione si è attestato al 9,2 per cento nel primo trimestre (primavera), indicando un aumento dello 0,4 per cento su base annua.