Turchia: la stretta del governo sulle università

Aggiornato il 20/02/21 at 09:46 pm

di Daniele Mont D’Arpizio — A Istanbul torna la tensione tra governo e studenti: in centinaia da giorni manifestano contro la nuova stretta sugli atenei, tradizionalmente considerati centri di diffusione del pensiero laico e di resistenza al regime. Stavolta l’attenzione è concentrata sull’università Boğaziçi, una delle più prestigiose del Paese, sulla quale è stato appena paracadutato il nuovo rettore Melih Bulu, che nel 2015 si era candidato al parlamento nel partito del presidente Erdoğan senza risultare eletto.

Dal 2016 i vertici delle università pubbliche sono nominati dal governo; stavolta però le proteste sono state particolarmente forti a causa del profilo di Bulu, considerato politicizzato e inadeguato dal punto di vista accademico, dato che è stato addirittura accusato di aver copiato la tesi di dottorato e quella del master. “In realtà si sta proseguendo sulla linea iniziata diversi anni fa: nella mia università successe la stessa cosa nel 2015, con la rimozione del rettore nottetempo e la sua sostituzione con un altro scelto personalmente dal presidente e che non c’entrava nulla con gli ideali dell’università”. Federica Broilo oggi insegna storia dell’arte islamica all’università di Urbino, ma per cinque anni ha lavorato presso l’università di Mardin, nel Kurdistan turco. Fino a quando, nel 2015, è stata cacciata assieme ad altri 13 colleghi stranieri: “Il secondo giorno dopo la nomina il nuovo rettore ha telefonato al mio capodipartimento e ha chiesto che ‘le due cristiane fossero immediatamente mandate via’. Su di me poi c’era un’enfasi particolare: in quanto italiana ero considerata automaticamente cattolica, il peggio del peggio. Anche se non sono nemmeno credente venivo chiamata pubblicamente ‘crociata’ e ‘missionaria’”. “Dicevano che noi docenti e ricercatori stranieri rubavamo lo stipendio ai turchi – continua Broilo –, sui social la gente ci copriva di insulti. Il clima era pesantissimo: ogni sera i miei studenti mi scortavano a casa, alcuni colleghi sono stati presi a pietrate. L’anno dopo sono stati cacciati anche i dissidenti, con la scusa che avevano firmato una petizione a favore della pacificazione in Kurdistan. Tutti quelli che non si sono allineati al regime sono stati eliminati uno dopo l’altro”.

In Turchia la repressione nelle università è esplosa soprattutto a partire dal 2016: secondo Scholars at risk sono nei primi due anni dopo il tentativo fallito di colpo di Stato sono state in 8.500 ad essere espulsi dalle fila del personale accademico. Oggi il processo di progressiva normalizzazione e sottomissione del mondo universitario ai desiderata del regime subisce un’ulteriore accelerazione: Boğaziçi è infatti considerato un ateneo d’eccellenza, con una fitta rete di relazioni internazionali e un largo impiego della lingua inglese. Tra l’altro con una grande tradizione di apertura e di tolleranza: è stata una delle prime istituzioni a permettere alle studentesse di portare il velo, ben prima che il divieto fosse rimosso nel 2010, mentre oggi vanta al suo interno una nutrita rappresentanza di organizzazioni Lgbtq e femministe. Per Federica Broilo “in Turchia frequentare questo ateneo è un sogno, tutti gli studenti più bravi vorrebbero andarci per un master o un dottorato e dal campus sul Bosforo c’è una delle viste più belle di Istanbul. Metterci un fedelissimo del regime ha il sapore di una sfida, di vedere fino a che punto si può tirare la corda”. A cosa serve nominare il rettore? “Erdoğan mira a piazzare delle marionette che probabilmente hanno già una lista di cose da fare consegnata dall’alto. E potrebbe succedere come a Mardin, che da università aperta e internazionale è diventata praticamente una scuola coranica. Tra l’altro chi mi ha cacciato in seguito è stato a sua volta sostituito e indagato per corruzione”.

“Molte università private in questi anni sono state chiuse, diversi atenei hanno cambiato nome – prosegue la studiosa –. Tutto si inserisce nella strategia di Erdoğan: anche la conversione in moschea della basilica di Santa Sofia in luglio rientra in un tentativo disperato di tenere intatto un potere che in realtà sembra scappargli dalle mani. Il gradimento del presidente infatti continua a scendere”. Un tentativo che secondo Broilo sembra rientrare in un progetto di neottomanesimo culturale a tutti i livelli: “Anche quest’anno il 29 maggio, anniversario della presa di Costantinopoli, è stato celebrato come un evento stratosferico. La conversione di chiese in moschee, le soap opera e i film, la costruzione di centri culturali/religiosi in giro per tutta Europa e nel mondo da parte del governo turco: tutto rientra in questo disegno. Il problema è che come il solito si sceglie di concentrarsi su un’identità particolare, tralasciando non solo l’elemento kurdo ma anche tutta la storia anteriore alla conquista turca dell’Anatolia”.

Per il momento ad opporsi a questo ennesimo assalto alle libertà individuali e accademiche sono soprattutto gli studenti, che continuano a manifestare sotto l’ufficio del neorettore al suono della musica rock. Ancora una volta però la reazione del governo è stata rabbiosa, con l’uso di gas lacrimogeni e arresti di studenti, subito qualificati come ‘terroristi’. “Quanto ai docenti, molti rimangono ufficialmente in silenzio – conclude Federica Broilo –. Quasi tutti sui social usano pseudonimi e restano molto abbottonati: del resto oggi basta un tweet per andare in galera. Oppure, come mi raccontava proprio un collega della Boğaziçi, un giorno trovi una X sulla porta del tuo ufficio in dipartimento, solo perché magari hai detto di smettere di ammazzare i kurdi, e se becchi uno studente estremista auguri. Oggi se non si è d’accordo con il regime in Turchia si resta solo se non ci sono alternative, oppure al contrario si ha un grande coraggio”.