ROJAVA: BASTA LA PAROLA

Aggiornato il 21/02/21 at 09:21 pm

di Gianni Sartori — Un mio recente, breve intervento sulla tragica fine di una giovane donna curda di Afrin (selvaggiamente picchiata da una banda di collaborazionisti, era morta al momento di partorire due gemelli) aveva scatenato la reazione di qualche sostenitore di Assad e della intangibile integrità dello Stato siriano.

Commenti che – almeno credo – non provenivano da seguaci di Forza Nuova, Casa Pound o da qualche rosso-bruno, ma – sempre presumibilmente – da esponenti della “sinistra antimperialista”.

Cosa dire? Forse “più realisti del re” in questa difesa d’ufficio dell’attuale regime siriano.

Nell’articolo, sottolineo,non si affrontava minimamente la questione dell’autonomia – meno che mai dell’indipendenza – curda.

Ma forse era bastato nominare il Rojava!

Non sia mai, questa è Siria (e basta!).

Ora non è mia intenzione approfondire la questione “sovranità nazionale”. Per quanto mi riguarda – l’ho appreso dai baschi – più che una prerogativa degli Stati (comunque una costruzione artificiale) la considero organica ai diritti dei popoli, della “Nazioni” (anche quelle “senza Stato” appunto).

Tra i commenti spiccava poi un esplicito invito al governo di Damasco per farla finita una volta per tutte con ‘sti curdi.

Non si entrava nello specifico, ma presumo non con le buone maniere.

Magari – ma in seconda battuta – mandando via anche via anche i turchi che hanno invaso il Paese. Ripristinando quindi la situazione precedente (quella di dieci anni fa).

Ora, verrebbe da dire che se aspettavamo Assad, l’Isis faceva in tempo a radicarsi nell’intera Siria, non solo nel Nord-Est. Da dove, pagando un prezzo altissimo, l’hanno sloggiata i curdi delle YPG.

Inoltre è chiaro che Assad non farà nulla – non autonomamente almeno – contro Ankara, visto che Putin lo tiene saldamente al guinzaglio.

Altra questione: il petrolio venduto agli statunitensi (una nota dolente, lo ammetto) che verrebbe “rubato” al legittimo proprietario, la Siria. Ma ci si dimentica che comunque fino a non molto tempo fa Damasco acquistava – senza particolari problemi – dagli stessi curdi il greggio per poi rivenderglielo – trasformato in benzina – a caro prezzo.

La scelta dei curdi – popolo colonizzato e senza Stato, ma comunque “nazione” – è stata semplicemente quella di coglier l’opportunità di rimodernare gli impianti per essere in grado di produrre in proprio l’indispensabile carburante. Per non parlare dei costi a cui l’amministrazione autonoma si sottopone rifornendo a prezzi bassissimi la popolazione (indistintamente, non solo la componente curda ovviamente) di carburante, anche per il riscaldamento. Così come avviene per esempio con il pane, prodotto ora in ogni villaggio e quartiere dai forni appositamente ripristinati o realizzati ex novo.

Quanto alle spesso evocate – ed enfatizzate – rivolte delle tribù arabe locali contro l’amministrazione autonoma curda, vorrei ricordare che – in parte almeno – nascevano dalla richiesta di liberare i miliziani arruolati – per amore o per forza – nell’Isis. Come era poi avvenuto (per chi non si era reso responsabile di fatti di sangue) dietro la garanzia fornita dagli anziani dei villaggi che non si sarebbero reintegrati nell’organizzazione fondamentalista.

E concludo. Per quanto possa risultare difficile, complessa, talvolta perfino contraddittoria, l’esperienza del Confederalismo democratico rimane – a mio avviso – una delle poche cose decenti sorte in questa area geografica. Una opportunità, non solo per i curdi, di realizzare un sistema sociale non gerarchico, non autoritario, non sessista. Nel rispetto dei Diritti umani ed ecologicamente compatibile…

Per quanto umanamente possibile almeno.