Cosa ci insegna il femminismo del Kurdistan Nel libro Curdi di Rosemberg & Sellier un capitolo scritto dalla giornalista Antonella De Biasi affronta il tema dell’emancipazione femminile in un lembo di terra tutt’altro che amico se si è nate femmine.

Aggiornato il 12/12/18 at 10:38 am

di Alessia Ferri  –   è una ragazza in una prigione turca che dipinge con il proprio sangue mestruale. Il suo nome è Zehra Dogan e sua colpa è aver realizzato un dipinto per denunciare la violenza e i soprusi perpetuati sul popolo curdo dal governo di Recep Tayyp Erdogan. Giornalista, pittrice e attivista del Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, considerato un’organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti e Unione europea, sta pagando con la propria libertà la volontà di non chinare la testa di fronte al regime. La sua è una delle storie più eclatanti di resistenza femminile all’oppressione ma non è la sola, visto che la Turchia è la nazione al mondo con più giornalisti incarcerati (anche più della Cina) e che la maggior parte di loro sono donne. A raccontarle è la giornalista Antonella De Biasi, autrice insieme a Giovanni Caputo, Kamal Chomoni e Nicola Pedde del libro Curdi, edito da Rosemberg & Sellier.

LE DONNE TURCHE MADRI DELLE MODERNE GUERRIGLIERE SIRIANE

In particolare Antonella ha approfondito la centralità della figura femminile nell’evoluzione della società patriarcale di questa etnia, concentrandosi sulle curde della Turchia. «Si parla molto delle guerrigliere siriane che hanno combattuto contro il sedicente Stato Islamico ed è giusto perché queste ragazze hanno messe in gioco la vita per difendere i diritti del proprio popolo, diventando protagoniste di una grande rivoluzione, femminile e non solo», spiega l’autrice, «Tuttavia pochi sanno che le loro azioni sono figlie di una battaglia portata avanti dalle donne delle generazioni precedenti, soprattutto turche».

LA RIVOLUZIONE FEMMINILE TURCA DEGLI ANNI OTTANTA

I curdi sono un gruppo etnico che vive nella zona settentrionale e nord-orientale della ex Mesopotamia, in un’area che comprende parti di Iran, Iraq, Siria, Turchia e in misura minore Armenia. La nazione che ne ospita il maggior numero è la Turchia, dove le donne hanno iniziato a far sentire la loro voce dopo il duro colpo di stato del 1980, che ha messo in carcere tanti oppositori quasi tutti di etnia curda appunto. «Con molti uomini dietro le sbarre le donne si sono rimboccate le maniche dando vita a una rivoluzione femminista giunta fino a quella delle guerrigliere che oggi in Medio Oriente sembrano talmente libere da essere associate al movimento #metoo». Giovani, alcune giovanissime attorno ai 16 anni, nonostante la società ancora patriarcale combattono appoggiate dai genitori (perché nei gruppi non sono ammessi uomini quindi la loro verginità è assicurata) con la sfrontatezza tipica dell’età ma anche con la consapevolezza che quella dell’emancipazione femminile per le curde sia una partita tutt’altro che vinta.

L’ERA ERDOGAN: BOOM DI DELITTI D’ONORE E SOPRUSI

«In Turchia col tempo le cose erano un po’ migliorate e anche durante i primi anni di Erdogan al potere sembrava si stesse andando verso una sempre maggiore apertura visto che il dittatore si era presentato con l’abito del liberale e aveva dichiarato di voler stipulare la pace con i curdi. Dopo il fallito colpo di stato del 2013 le cose però sono peggiorate drasticamente e i curdi sono tornati ad essere i primi nemici, tanto che molti sono stati incarcerati senza motivo». Tra loro come sempre tante donne, costrette a subire ogni tipo di sopruso, in cella così come nella società civile, dove oggi sono aumentati vertiginosamente i delitti d’onore e sono all’ordine del giorno matrimoni combinati con spose al di sotto dei 18 anni, violenze domestiche, femminicidi e violenze sessuali. «Molte ragazze vittime di stupro denunciano ma oltre all’umiliazione di essere additate come provocatrici e parziali colpevoli, devono subire quello delle pene, spesso ridicole. Ricordo un episodio in cui uno stupratore venne condannato a dire cento preghiere».

IL PATRIARCATO ASSOLUTO DI IRAN E IRAQ

E quella turca, paradossalmente, è la situazione migliore perché in altre zone la questione femminile è ancora lontanissima dall’essere anche solo presa in considerazione. «Delle curde irachene e delle iraniane sappiamo pochissimo perché vivono in comunità governate dalla legge della sharìa che, nonostante nelle scritture del Corano non ve ne sia veramente traccia, vuole la donna sottomessa. Sono zone in mano a clan maschili dove le donne sono ancora schiacciate e ridotte a oggetti in mani altrui». Un giorno anche loro vedranno l’alba di una nuova primavera scandita al ritmo di un girl power consapevole e determinato, come hanno già fatto le ragazze turche e della Siria.

LA COMUNE FEMMINISTA NEL ROJAVA: IL SIMBOLO DELLA RINASCITA SIRIANA

Qui adesso, come racconta Antonella De Biasi, nonostante la strada verso la piena emancipazione sia ancora lunga, per nulla confortevole e piena di polvere e insidie, esiste una piccola oasi di speranza per un futuro più libero: il villaggio di Jinwar. Nell’area desertica del Rojava nel Kurdistan siriano è nata infatti una comunità autogestita di sole donne, una sorta di casa famiglia organizzata come un vero e proprio borgo, dove ogni ospite si sente tutelata e libera di esprimere se stessa senza limiti né giudizi. Una piccola comune femminista dove convivono vedove, ragazze madri, ripudiate dalle famiglie e molte altre, nata a pochi chilometri da Qamishli, in un’area fino a poco fa dominata dalla brutalità maschile che viveva all’ombra dell’Isis e dove migliaia di donne furono rapite dagli jihadisti per essere fatte schiave sessuali, prima di imbracciare elle stesse le armi e iniziare a combattere per liberarsi. Un luogo di rinascita, dunque, voluto proprio da molte di loro e dall’intento dichiarato fin dal nome visto che la parola Jin in curdo significa sia vita che casa. «Mi sembrava giusto raccontare queste ragazze che si aiutano a vicenda a prescindere dalla nazione di provenienza, che non hanno paura né della guerra né del carcere, e che stanno portando avanti una battaglia di emancipazione nella sostanza non molto diversa da quella che ha visto come protagoniste le nostre nonne, non dimentichiamo che il delitto d’onore in Italia è stato cancellato solo nel 1981», conclude l’autrice. Una via curda al femminismo, dunque, della quale sentiremo parlare ancora a lungo.

 

 

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*