Il petrolio di Barzani: la variabile enetgetica fra Turchia e Iraq

Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm


di Filippo Urbinati

Tra necessità energetiche e pressioni autonomistiche, il Governo regionale curdo ricopre una posizione estremamente critica nei rapporti tra Turchia e Iraq. Il ruolo delle minoranze curde nei paesi limitrofi amplifica la portata della questione. Le elezioni alle porte nei due Paesi complicano ulteriormente il quadro……. ATTORI COINVOLTI – Garantire e diversificare il proprio approvvigionamento energetico è uno degli obiettivi fondamentali della Turchia degli ultimi anni. Il petrolio proveniente dai bacini iracheni appare come una fonte imprescindibile tanto per il consumo domestico quanto per il rifornimento dei mercati europei, anch’essi alla ricerca di fonti di diversificazione del proprio portafoglio energetico. Dall’altra parte del confine, in Iraq, il governo di al-Maliki è chiamato in queste ore a gestire un gravissimo problema di sicurezza causato dall’inasprimento del conflitto settario, dal risorgere di gruppi di matrice qaidista e dalla complessa organizzazione delle elezioni generali previste per il 30 aprile. Nella disamina delle relazioni bilaterali tra i due Stati, un ruolo rilevante è quello giocato dalla minoranza curda presente nei due Paesi: innanzitutto il Governo Regionale Curdo (KRG), un’entità nata all’indomani del ritiro americano che si inserisce all’interno del contesto federale iracheno e che, con il passare degli anni, ha acquisito sempre maggiori margini di autonomia; in secondo luogo la minoranza curda in Turchia, la cui rilevanza è in crescita anche nell’iper-centralizzato sistema di Ankara. I pacchetti democratizzatori emanati dal Governo e, soprattutto, la contrattazione tra Ankara e il PKK di Öcalan hanno contribuito ad aprire uno spiraglio nella tormentata storia dell’indipendentismo curdo in Turchia. L’approssimarsi delle elezioni locali inoltre obbliga il partito maggioritario, l’AKP di Erdoğan, a fare i conti con la popolazione curda presente nel proprio territorio, stante la necessità di assicurarsi un appoggio in vista di questo complicato appuntamento.
GLI ANTEFATTI – Entrambi i Paesi, Turchia e Iraq, hanno avuto un rapporto tormentato con le minoranze curde presenti sul proprio territorio. Questa situazione di conflitto, latente o effettivo, ha portato Ankara e Baghdad a sviluppare una relazione privilegiata basata sull’interscambio commerciale, per lo più in ambito energetico, e sul comune obiettivo di contenere le spinte autonomistiche delle aree a maggioranza curda. All’indomani della caduta di Saddam Hussein la nuova Costituzione irachena prevedeva l’instaurazione di un assetto di tipo federale. L’iniziale reazione turca a questa decisione è stata di assoluta rigidità e di latente ostilità nei confronti del neonato KRG, per paura che esso potesse fungere da elemento destabilizzatore in grado di provocare un’escalation del movimento indipendentista curdo all’interno dei propri confini.
Tutto questo fino al 2007, anno in cui l’immagine del KRG come safe haven per il PKK cominciò a essere messa in discussione grazie al supporto dell’intelligence americana, che contribuì all’individuazione e allo smantellamento di alcuni campi di addestramento del movimento marxista curdo (PKK) situati sulle montagne al confine tra i due Stati. Il risultato di questo mutamento di percezione è stato un’inversione totale nella politica di Ankara, che cominciò al contrario a instaurare legami sempre più profondi con il Governo di Erbil, trasformandolo in un importantissimo mercato di sbocco per il settore manifatturiero della Turchia.
Questo sviluppo ha avuto però come conseguenza quella di accrescere le preoccupazioni di Baghdad nei riguardi del KRG e di minare il rapporto con Ankara. Il principale timore del Governo di al-Maliki è stato quello che Erbil potesse utilizzare i proventi della vendita del petrolio presente sul suo territorio per sponsorizzare una propria secessione e fondare uno Stato che basasse il proprio bilancio sul commercio dell’oro nero.
L’ESPLOSIONE DELLA CRISI – A dicembre 2013 Barzani, Presidente del Kurdistan iracheno, annunciò di aver terminato la costruzione delle pipeline per il trasporto del petrolio verso la Turchia: di lì a poco il Governo di Erbil stipulerà un accordo con Ankara per la sua vendita diretta senza l’intermediazione di Baghdad. La crisi costituzionale interna all’Iraq sulla legittimità dello Stato federato a concludere accordi di questo tipo indipendentemente e sul valore delle revenues spettanti al Governo centrale ha avuto immediate ripercussioni sul rapporto bilaterale con la Turchia. Il ministro degli Esteri turco Davutoğlu si è impegnato da subito in una shuttle diplomacy che lo ha portato tra Erbil e Baghdad nel tentativo di ricomporre la crisi e mediare tra le parti in causa. Lo scarso risultato di questa politica è stato testimoniato dal precipitare della crisi, che ha portato ad annullare la visita del Primo Ministro iracheno in Turchia (ufficialmente per impegni elettorali) e il congelamento dei trasferimenti dallo Stato centrale verso il KRG.
GLI SCENARI – Il futuro delle relazioni tra Turchia e Iraq si trova oggi a sottostare a numerose variabili. Innanzitutto le scadenze elettorali. Il primo appuntamento è quello delle elezioni locali in Turchia previsto per fine marzo. L’AKP, dopo gli scandali che lo hanno colpito a partire dal 17 dicembre scorso, necessita come non mai di un risultato positivo per tentare di rinsaldare la propria preponderanza all’interno del Paese. Per far questo non può tralasciare le regioni a maggioranza curda, dove il processo di pacificazione con il PKK, e con il suo referente politico (BDP), appare come conditio sine qua non per l’ottenimento di un buon risultato sul piano elettorale. La prosecuzione della tregua con il PKK è anche una condizione necessaria per la buona riuscita dell’accordo energetico con il Governo regionale curdo, poiché essa si presenta come il mezzo migliore per garantire la sicurezza delle pipeline che attraversano le provincie sud-orientali del Paese. In passato infatti, e verosimilmente anche in futuro qualora le trattative tra il Governo e il movimento indipendentista dovessero precipitare, le condutture di petrolio provenienti dall’Iraq e dal bacino del Caspio hanno rappresentato un obiettivo di rilevanza strategica per i miliziani del PKK.
Il secondo appuntamento è quello delle elezioni generali irachene di fine aprile. Se la rielezione di al-Maliki rappresenta il peggiore degli scenari per Ankara, una sua sostituzione con qualsiasi altro esponente della maggioranza sciita non rappresenta una garanzia di miglioramento. La comunità sciita irachena infatti è apparsa molto risentita dalla decisione turca di concedere il diritto di asilo al suo ex vice-presidente Tariq al-Hashimi, riparato ad Ankara dopo essere fuggito dall’Iraq.
Un’ulteriore variabile è quella di un possibile effetto spill-over dalla vicina Siria. Di particolare rilevanza per il rapporto tra Turchia e Iraq è la crescente autonomia che il Governo di Damasco sta concedendo alla frangia siriana del PKK, il PYD, con il chiaro intento di delegare la responsabilità del controllo di una parte di territorio a un’entità fedele al regime e ben organizzata militarmente. L’equilibrio che si verrà a creare tra le varie componenti dell’indipendentismo curdo finirà inevitabilmente per impattare sulle relazioni tra gli Stati che da anni si spartiscono il controllo del Kurdistan.

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