La Turchia e il delicato ritiro del Pkk

Aggiornato il 03/05/18 at 04:32 pm


di Ferdinando Calda

Sarebbe già cominciato in questi giorni il ritiro dei militanti armati curdi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) dal territorio turco, come previsto in seguito allo storico annuncio del leader in galera Abdullah Ocalan….. in occasione del capodanno persiano (21 marzo). Almeno stando a quanto riportato dalla stampa turca. Tuttavia le incognite sono ancora molte e il clima rischia di incendiarsi nuovamente da un momento all’altro. “Il Pkk ha iniziato con il cessate il fuoco e proseguirà con il ritiro dei militanti armati dalla Turchia entro pochi giorni, con passi concreti che saranno presi per il disarmo”, ha dichiarato all’inizio della settimana il vicepresidente del partito curdo Pace e Democrazia (Bdp), Idris Baluken, nel corso di una conferenza stampa ad Ankara.
Nei giorni successivi i quotidiani turchi hanno confermato l’inizio del ritiro dei miliziani, ma si attende comunque un messaggio di Ocalan, che nel frattempo starebbe trattando le condizioni con il governo di Ankara. “Il processo di pace sta proseguendo a ritmo sostenuto. Sto cercando di rendere permanente la tregua e di assicurare il ritiro. Posso dire che ora stiamo meglio. Presto rivelerò i dettagli del piano”, aveva scritto Ocalan in un messaggio letto dai deputati del Bdp durante la conferenza stampa nella capitale. Tra le richieste dei curdi spicca la richiesta dell’istituzione di organismi ufficiali a garanzia dell’accordo. All’inizio di aprile il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha nominato una commissione di 63 “saggi” per guidare il processo di pace.
Rimangono comunque aperti altri punti importanti, come l’assicurazione per i guerriglieri in ritirata di non venire attaccati dall’esercito turco, o l’eventuale liberazione di Ocalan, che dal 1999 sconta una condanna a morte poi commutata in ergastolo nell’isola carcere di Imrali. I curdi chiedono che allo storico leader vengano almeno concessi gli arresti domiciliari. Tuttavia, per stessa ammissione del capo del Bdp Selahattin Demirtas, al momento sembra improbabile che Ocalan – che dopo anni di sanguinosa guerra è considerato da molti turchi un terrorista e un “assassino di bambini” – possa uscire dal carcere.
Per quanto riguarda le modalità del ritiro dei guerriglieri – stimati tra i 2mila e i 3mila – attraverso le montagne fino al Kurdistan iracheno, il quotidiano filo-governativo Zaman sostiene che i miliziani lasceranno il territorio turco a piccoli gruppi lungo percorsi concordati con i servizi segreti del Mit, che per mesi hanno condotto le trattative con Ocalan in carcere. L’esercito si dovrà limitare a “scortarli a distanza”, anche con l’ausilio di droni.
Tuttavia, quando il quotidiano Zaman ha accennato a un protocollo tra governo ed esercito per escludere attacchi delle truppe turche contro i militanti del Pkk, il ministro dell’Interno in persona ha smentito l’esistenza stessa di un simile documento. Anche perché il 17 ottobre scorso il parlamento turco ha dato mandato per un anno alle forze armate turche di effettuare operazioni contro le postazioni Pkk fin dentro al territorio iracheno (con il beneplacito del presidente del Kurdistan iracheno Massud Barzani).
E in questo momento il governo di Ankara ha già qualche difficoltà a far digerire al parlamento la riappacificazione con il Pkk. Le opposizioni laiche e nazionaliste al governo dell’islamico Erdoğan accusano il premier di corteggiare i “terroristi” pur di guadagnarsi l’appoggio della comunità curda e dei suoi deputati per far approvare importanti modifiche alla Costituzione. Erdoğan, infatti, non potrà ricandidarsi come premier alle prossime elezioni politiche del 2015. Tuttavia sta pensando a una modifica in senso presidenzialista della Costituzione, per poi presentarsi alle elezioni popolari del presidente della Repubblica del 2014. Un progetto che avrebbe l’appoggio del Bdp curdo, specialmente se il premier riuscisse veramente a mettere fine alla guerra che da quasi trent’anni insanguina il sud-est (e non solo) della Turchia.
Ma la strada è ancora lunga e rimangono da affrontare i temi spinosi della maggiore autonomia per i curdi e della liberazione delle migliaia di sostenitori e attivisti arrestati negli anni. Lo stesso Erdoğan, dal suo arrivo al potere nel 2002 alla guida del partito islamico per la Giustizia e lo Sviluppo, ha avuto un atteggiamento ambiguo sulla questione. Da un lato con alcune aperture alle richieste della comunità autonomista, dall’altro con un pesante giro di vite contro deputati e militanti curdi. Ora resta da vedere in quale direzione vorrà (o dovrà) proseguire.
fonte: Rinascita
 

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