Cinema: Festival Curdo; la storia di Hevi, rifugiata in Italia

Aggiornato il 03/05/18 at 04:32 pm


di Cristiana Missori

”Sono arrivata in Italia sotto un tir, 17 anni fa. Lasciandomi indietro la famiglia”. Sono quasi venti anni che Hevi Dilara, rifugiata politica curda, musicista, poetessa e direttrice artistica del Festival del Cinema curdo che da domani apre i battenti a Roma, si e’ lasciata alle spalle la famiglia e gli amici. La vita, nel Sud-Est della Turchia, o meglio, ”nel Kurdistan…… del Nord-Ovest, era diventata insostenibile. Una esistenza di continui cambiamenti e traumi”. Dove il padre veniva spesso arrestato e dove lei, dopo il colpo di Stato turco del 1980, mentre era ancora una bambina ”venivo svegliata a calci nella schiena e il fucile puntato alla tempia”, racconta ad ANSAmed. Con la presa di potere dei militari, nel 1980, oltre a venire sciolti tutti gli organi democratici del Paese e vietati i partiti politici, fu proibito l’utilizzo della lingua curda e vietata la diffusione della cultura. Hevi ha appena compiuto 39 anni e dall’eta’ di 22 non ha piu’ rivisto i suoi fratelli e i genitori. Nata a Salinurfa, o Edessa come veniva chiamata nell’antichita’, non e’ mai vissuta piu’ di tre-quattro anni nella stessa citta’. ”Prima di lasciare il Kurdistan cantavo in un gruppo musicale. Eravamo perseguitati, continuamente, accusati di essere terroristi. Dopo la morte in carcere del batterista, per via delle torture subite, mio padre mi disse di mettermi in salvo, di scappare in Europa, dove c’era piu’ democrazia. Sono salita agganciandomi a un tir a Salonicco e mi sono risvegliata in ospedale a Milano. Uno dei miei compagni di viaggio era morto”. Da quel momento, era il 1996, inizia la sua diaspora o anche la sua rinascita. ”Un poliziotto mi ha aiutato per avviare le pratiche per richiedere l’asilo, gli devo molto”, dice. Con l’assassinio delle tre attiviste del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi) a Parigi, qualche giorno fa, la questione curda e’ tornata sui giornali. Un massacro che in tanti possono avere voluto, sostiene Hevi, che da anni si batte per la causa curda, anche promuovendone e diffondendone la cultura e le tradizioni. Un omicidio brutale, forse volto a bloccare quel timido processo di pace avviato dal governo di Ankara con la guida spirituale del movimento curdo, Abdullah Ocalan, in carcere da oltre dieci anni in isolamento nell’isola-prigione di Imrali. ”Un possibile riconoscimento dei curdi – afferma – cambierebbe lo scenario politico dell’intera regione mediorientale”. E questo, in molti non lo vogliono. ”I curdi – sottolinea – non sono separatisti come troppo spesso viene detto. Vogliamo risolvere la questione con la Turchia. Vogliamo un’autonomia”. Tornare in Turchia? ”Non credo. Non per adesso almeno”, replica. Finora, pero’, la nostalgia e’ forte. ”Non ci parlo da anni”, sospira, ”per via del mio attivismo alcuni dei miei fratelli sono stati arrestati”. Se ci dovesse essere una amnistia generalizzata che consentisse a tutti i curdi, anche ai rifugiati politici, di tornare e vivere liberamente e partecipare alla vita politica e sociale della Turchia, allora, dice, ”potrei tornare”. Anche il Festival che partira’ domani – ospitato al Nuovo cinema Aquila – e’ un modo per sostenere la causa del suo popolo, diviso dopo il crollo dell’Impero Ottomano tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Fino al 20 gennaio, protagonisti saranno giovani registi curdi, selezionati sulla base dei temi trattati e il modo di raccontare le loro storie. Come quella di Hevi. Una delle tante. (ANSAmed).
(ANSAmed) –

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