Se Teheran cerca di metter le mani sul “nuovo” Iraq

Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm

di Nicola Mirenzi
Non è la prima volta che accade. Ma questa è più grave delle altre. Le truppe iraniane hanno sconfinato in Iraq, assumendo il controllo di tre campi del gruppo ribelle curdo Pjak, nel corso di un’offensiva iniziata sabato nel Kurdistan iracheno. A riferirlo è stato un comandante dei guardiani della rivoluzione della repubblica islamica, il colonnello Delavar Ranjbarzade: «Tutti e tre i campi sul suolo iracheno che sostenevano l’organizzazione terroristica sono sotto il nostro controllo»,
ha detto.
Nell’operazione, secondo l’agenzia stampa Irna, sono stati uccisi cinque guerriglieri del Pjak – acronimo in inglese di Partito per la vita libera in Kurdistan. Il Pjak è un movimento separatista curdo fondato nel 2004 che opera al confine tra Iran e Iraq. È nato da una scissione del Pkk, il movimento indipendentsta attivo nel sud est della Turchia. Sebbene abbia compiuto operaioni anche in Siria e nella stessa Turchia, esso opera per lo più nell’Iran occidentale.
Le interferenze dell’Iran negli affari interni dell’Iraq curdo, tuttavia, non sono una novità. L’esercito della Repubblica islamica bombarda da tempo i campi curdi nel nord dell’Iraq.
Tanto che in occasione della visita a Baghdad del vicepresidente iraniano Mohammed Reza Rahimi, all’inizio di luglio, Muhsen al-Saadou, membro della coalizione dell’Iraq iracheno, ha chiesto che l’Iran rispetti la sovranità territoriale irachena, smettendo di bombardare i villaggi e le aree curde. I villagi presi di mira dall’esercito iraniano sono quelli di Meragasur, Kani-Rash, Taki-Shin nella provincia di Arbil e poi Choman, Haji-Omran e Soran. La giustificazioneche Teharan adduce per legittimare questi interventi è che essi ervono a preservare la sua sicurezza interna dalle incursioni di gruppi di opposizione al suo governo.
In realtà, però, sotto queste schermaglie, si cela l’aspirazione di Teheran di controllare il futuro dell’Iraq. Le pressioni della Repubblica islamica negli affari interni di Baghdad, infatti, non non si limitano solo al nord del paese ma si estendono anche al sud, nella regione di Bassora. Le truppe iraniane hanno sconfinato più volte negli scorsi mesi lungo il confine meridionale.
Il motivo dell’ingerenza? Il petrolio. Alla fine di maggio alcuni contingenti iraniani sono stati avvistati con le mani su un pozzo di greggio nella regione di Bassora, a soli seicento metri dalla frontiera con l’Iran. Molti dei giacimenti petroliferi iracheni sono in effetti sottoutilizzati, poiché Baghdad non ha la tecnologia adatta (né le risorse finanziarie) per lavorare al meglio il petrolio, al contrario dei paesi limitrofi come Kuwait e Iran. Gli episodi di “sequestro temporaneo” dei pozzi sono così molto più frequenti di quanto si pensi. Nel dicembre 2009, per esempio, le forze iraniane occuparono il distretto petrolifero di Al Fekka, a est della città di Al mara, trecento chilometri a sud di Baghdad.
E da lì si ritirarono solo alla fine di gennaio 2010.
Ma non è tutto qui. L’Iran è presente nella vita politica dell’Iraq anche immaterialmente: finanziando cioè delle milizie nel sud del paese, quello a maggioranza sciita. Molto ben pagate, queste truppe sono tra le più impenetrabili che ci siano in Iraq e si sono rese responsabili di molti attentati contro le truppe americane.
Tra Iraq è Iran, poi, pesa come un macigno il residuo della storia. Dopo la guerra quasi decennale che ha contrapposto i due paesi dal 1980 al 1988, nessun trattato di pace è stato mai firmato. Così, sebbene il conflitto sia finito, non c’è giuridicamente nessun accordo che regolamenti rapporti tra i due vicini e i loro confini. Un vuoto, questo, che alimenta da sempre le incertezze.
Ma il problema che si pone sull’Iraq riguarda anche gli Stati Uniti d’America. Come scrive sul Washington Post Jackson Diehl, il rischio che gli Usa corrono, nel momento in cui si ritirano dall’Iraq, è quello di farlo diventare «un satellite iraniano». Un eventualità non remota, stando così le cose, ma che minaccerebbe seriamente la tenuta e la stabilità di tutto il Medio Oriente.
 

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