Kurdbun-essere curdo: al cinema l’urlo del Kurdistan schiacciato Dal 28 ottobre in sala il docu-film di Fariborz Kamkari

Aggiornato il 28/10/21 at 09:15 pm

di Piero Brundo (araldodellospettacolo ) — Kurdbun-essere curdo, in uscita nelle sale dal prossimo 28 ottobre, è il nuovo docu-film di Fariborz Kamkari (Acqua e zucchero: Carlo Di Palma, i colori della vita – Pitza e datteri – I fiori di Kirkuk) Prodotto da Far Out Films, Acek in associazione con Idev e distribuito da Officine Blu.

Kurdbun-essere curdo: al cinema l’urlo del Kurdistan schiacciato. Dal 28 ottobre in sala il docu-film di Fariborz Kamkari

Kurdbun – essere curdo, è l’irresistibile volontà di esistere. Il primo appassionato documentario che esprime e rappresenta la resistenza della più numerosa popolazione al mondo senza Paese, che, nonostante le sofferenze, continua a lottare, a sopravvivere e a chiedere una patria. L’ identità perennemente negata, raccontata attraverso drammatici filmati inediti. Il materiale di repertorio è stato girato da una troupe televisiva curda di Istanbul, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, durante l’assedio punitivo da parte dell’esercito turco di una città a maggioranza curda nel sud-est della Turchia. Nel paese che detiene il primato del maggior numero di giornalisti imprigionati, la cronista curda Saadet Yildiz e il suo cameraman, in missione a Cizre per un reportage di routine, sono rimasti intrappolati da un assedio non annunciato. Si sono ritrovati così testimoni per 79 giorni dell’invasione dei carri armati dell’esercito turco, che non si è fatto scrupolo a bombardare e uccidere i civili. Lo sterminio causato dagli attacchi sistematici, la disperazione degli abitanti di Cizre e la loro creatività nell’inventare forme di sopravvivenza e resilienza quotidiana.

Se non riuscite più a trovare horror che vi spaventino, questo film vi restituirà la paura. Come nella migliore tradizione, qui il mostro, l’alieno da noi, non ci viene mai mostrato. Quando colpisce lo fa ben nascosto, al riparo, con il suo fucile di precisione coraggiosamente fa esplodere la testa di un bambino di tre mesi in braccio alla madre. Circonda la città protetto da carri corazzati bombardando cittadini disarmati. Il regista seleziona con cura le immagini e la struttura narrativa. I primi minuti mostrano l’ultimo giorno del conflitto, le uniche concessioni “voyeuristiche” che Kamkari ci offrirà.

E’ la mattina del primo gennaio 2017, la giornalista ed il cameraman si muovono per le strade bombardate assieme ad un gruppo di persone, per recuperare i corpi dei curdi smembrati dal “mostro” che per la prima volta in quasi due mesi non si è ancora svegliato, come non comprenderlo. La notte prima ha festeggiato il capodanno bevendo e festeggiando nel suo personalissimo modo, ininterrotte salve di missili e cannonate a ritmo di musica e mentre i curdi cadono, loro dalle colline circostanti urlano la propria gioia. Il gruppo di curdi si muove circospetto, spaventato da tutto quel silenzio, fanno ciò che devono quando il ruggito alieno li sorprende. I cannoni sputano, i muri crollano, è tutto più minimal rispetto ai soliti film, morte e devastazione non hanno una dimensione epica o spettacolare. Il gruppo corre cercando di ripararsi, alcuni cadono sotto i colpi di proiettile, le teste non esplodono, il sangue non schizza da tutte le parti, un momento li vedi correre quello dopo cadere inermi a terra come burattini a cui hanno tagliato i fili. Poi la telecamera cade a terra, l’unico movimento è quel liquido vermiglio che si allarga davanti all’obbiettivo. Qui il film si riavvolge, torniamo al principio degli eventi, con la giornalista Saadet Yilidiz ed il suo cameraman che arrivano a Cizre, la fine dell’ultimatum e l’inizio dell’assedio.

Kamkari non indugia mai sulla violenza, predilige mostrarci come gli abitanti della città rimangano uniti, cercando di proteggersi, non perdendo mai la voglia di vivere e godere di ogni minuto. Ci racconta la storia del popolo curdo, mantenendo un tono neutro, mai patetico o lagnoso. Dell’Europa che condanna la mancanza di rispetto dei diritti umani e degli stati europei che stringono patti economici con chi li perpetua. Un film che andrebbe visto da tutti, da mostrare a scuola, per capire effettivamente quale sia il senso di parole abusate come: libertà, dittatura e censura. Per poter dare uno sguardo a cosa accade in quei paesi sovrani in cui per raccontare la verità si rischia, letteralmente, la vita. Ma, comprensibilmente, sarà più facile evitarlo, dire che sia tutto finto, una bufala, un complotto, perché distruggere e negare è molto più semplice che costruire e cooperare, come fanno i curdi in questo documentario. Meglio credere ai rettiliani e a Satana, alle parole d’odio che ci dividono, piuttosto che sorprenderci ad imparare che è la paura a dividerci e a dare potere ai mostri.