Il punto sulle elezioni in Iraq: principali candidati e risultati

Aggiornato il 22/10/21 at 08:50 pm

di NOEMI SANNA ( www.geopolitica.info) —- Nella serata del 10 ottobre 2021, in Iraq, sono state chiuse ufficialmente le urne, dopo che nell’arco della giornata l’elettorato è stato chiamato ad esprimere la propria preferenza per i futuri membri della Camera dei Rappresentanti.  L’affluenza alle urne è stata però, come da previsioni, scarsa, per un totale di 40-41% degli aventi diritto di voto. Nella capitale, Baghdad, si sono registrati i picchi più bassi, fino al 31%. Tali cifre non solo sono da considerarsi basse (anche solo in riferimento a quanto accadde nel 2018, quando l’affluenza raggiunse il 44,52%) ma anche indicatore di una insoddisfazione politica nella popolazione, unita alla crescente sfiducia nelle istituzioni. 

Le premesse

Tale tornata elettorale infatti giunge in un momento particolarmente delicato per il Paese, a seguito delle proteste e manifestazioni svoltesi due anni fa, nel 2019, nelle quali persero la vita oltre 600 manifestanti e si dimise l’ex Primo Ministro Adel Abdul Mahdi, in carica da appena un anno. Le proteste si sono propagate in tutto il territorio nazionale, facendo appello a un minor tasso di disoccupazione, una riduzione della corruzione all’interno della classe dirigente e, in particolare, alle dimissioni del governo e del Primo Ministro Mahdi, avvenute poi formalmente il 29 novembre 2019, a più di un mese dall’inizio delle manifestazioni. Il 6 maggio 2020 la carica di Primo Ministro è stata affidata all’attuale premier, Mustafa al-Kadhimi, con la sincera promessa di indire libere elezioni anticipate prima dello scadere del suo mandato.

Una nuova formula per le elezioni

Si è giunti così alla giornata del 10 ottobre 2021, quando i cittadini iracheni sono stati chiamati a votare tra 3249 candidati, di cui 351 donne e 789 figure politicamente indipendenti. Tale consultazione ha rappresentato una svolta nella storia politica irachena, indipendentemente dall’affluenza registrata, per la prassi attuata. Il numero dei candidati (3249), infatti, è visibilmente calato rispetto a quello degli anni precedenti (il 12 maggio 2018 furono 6982) in ragione della promulgazione (5 novembre 2020) da parte del Presidente Salih, di una legge elettorale che nega la campagna elettorale su liste unificate, con l’obiettivo di consentire ai cittadini di esprimere la propria preferenza non solo in base al partito, ma al singolo candidato, riducendo di conseguenza il monopolio e la stagnazione creatasi sui partiti tradizionali nel Paese. Per attuare tale procedura, il territorio nazionale, composto da 18 province, è stato suddiviso in 83 collegi uninominali ognuno con 10.000 elettori. I seggi alla Camera verranno assegnati per quattro anni a coloro che otterranno il maggior numero di voti nelle liste elettorali della propria circoscrizione; il 25% di questi destinato a quote rosa, il 9% a minoranze religiose, 5% delle quali cristiane.
Altra circostanza innovativa è stata la supervisione del processo elettorale da parte dell’Alta Commissione Elettorale Indipendente, composta da osservatori internazionali inviati dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, con l’obiettivo di garantire equità e trasparenza, attenuando così i timori di coloro che temevano brogli e manipolazioni. Sebbene le novità procedurali non siano mancate, la scena politica sembrerebbe ancora dominata dai partiti tradizionalmente attivi.

I principali candidati

Tra i principali gruppi candidati ai 329 seggi del Parlamento, vi era il movimento sadrista, l’organizzazione politica religiosa musulmana sciita guidata da Muqtada al-Sadr, emerso già in passato come la più grande e influente ala politica del governo (nel 2018 ha ottenuto la maggioranza relativa in Parlamento, pari a 54 seggi). Al-Sadr, personalità autorevole nella classe dirigente, ha ereditato ideologicamente un devoto nucleo di sostenitori del padre, Mohammed Sadiq al-Sadr, un religioso morto durante il regime di Saddam Hussein. Muqtada al-Sadr, politicamente attivo dal 2005, ha a più riprese espresso il proprio disappunto circa la presenza statunitense nel Paese e la crescente influenza iraniana entro i confini nazionali. Recentemente ha manifestato apertamente il proprio dissenso sull’inopportuna presenza dell’Alta Commissione Elettorale Indipendente a supervisione delle elezioni, considerate affare nazionale.
Tra i candidati vi era anche il più grande raggruppamento partitico, l’Alleanza Al- Fateh, politicamente allineata con l’Iran, alla cui guida vediamo il leader paramilitare Hadi al-Amiri, secondo ai suffragi del 2018 con 48 seggi. L’Alleanza comprende l’ala politica di Asaib Ahl al-Haq, che gli Stati Uniti hanno designato come organizzazione terroristica; questa è affiliata, inoltre, all’Organizzazione Badr, legata a Teheran fin dal conflitto tra l’Iraq e l’Iran del 1980. I membri dell’Alleanza Al-Fateh, principalmente provenienti da gruppi paramilitari sciiti, hanno svolto un ruolo fondamentale nella sconfitta dello Stato Islamico, quando tra il 2014 e il 2017 aveva esteso il controllo su un terzo del territorio nazionale. Nel quadro di questo nuovo processo elettorale, il religioso sciita moderato Ammar al-Hakim (leader del Movimento Hikma) e l’ex Primo Ministro Haider al-Abadi hanno intrapreso un percorso congiunto, fondando il National Power of the State Coalition, rivelatasi la terza forza sciita del Paese.
D’altra parte, un altro ex Primo Ministro, Nuri al-Maliki (già leader di uno dei partiti politici sciiti più antichi del Paese, Dawa), si è candidato alla guida della coalizione dello Stato di Diritto, che nel 2018 ha ottenuto 25 seggi in Parlamento. La figura di Al-Maliki appare controversa, accusato a più riprese di alimentare la corruzione e il settarismo anti-sunnita.
Parallelamente, l’ala sunnita ha presentato alle elezioni tre differenti partiti: il primo guidato dal Presidente del Parlamento Mohammed al-Halbousi, leader dell’Alleanza Taqaddum, composta da diversi protagonisti sunniti del Paese. Questi, nel tentativo di riacquisire visibilità dopo il 2003 e la conseguente caduta del regime di Saddam Hussein, hanno mostrato la tendenza a ricercare l’appoggio delle realtà claniche presenti, e a lui vicine, nel governatorato di al-Anbar; la seconda è la coalizione al-Azm, guidata dal magnate Khamis al-Khanjar, forte dell’appoggio dell’Iran e del Qatar; vi è infine l’ex vicepresidente Osama al-Nujaifi, a guida del Progetto di Salvezza Nazionale, forte e ben radicato a Mosul.
Tra i partecipanti, vi erano anche coloro che nel 2019 hanno guidato le proteste e le manifestazioni contro il governo; il Movimento Imtidad, che risulta interamente composto da attivisti ed è guidato dal farmacologo Alaa al-Rikabi.
Infine, sebbene abbia ottenuto l’ufficiale autonomia sancita dalla Costituzione irachena solo nel 2005, la regione settentrionale del Kurdistan partecipa sempre attivamente alle elezioni e i suoi membri sono da molti definiti indispensabili mediatori in sede politica. Le due principali fazioni sono il Partito Democratico del Kurdistan (KDP), con sede a Erbil, e il Partito Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), sviluppatosi lungo il confine iraniano con sede a Sulaimaniya. Alle elezioni precedenti, il KDP ha ottenuto 25 seggi in Parlamento e il PUK 18.

Primi conteggi e risultati

Dopo un primo conteggio iniziale basato sui risultati di diverse province e della capitale Baghdad, verificato da funzionari del governo locale, i dati ufficiali, resi noti alcuni giorni dopo la chiusura delle urne, hanno decretato lo sciita Muqtada Al Sadr, leader del Movimento Sadrista, vincitore delle elezioni in Iraq, ottenendo circa 73 seggi su 329 disponibili e attestandosi come prima forza del Paese (superando inoltre i risultati ottenuti nel 2018).

Tuttavia, saranno necessarie trattative politiche al fine di creare una forte e stabile coalizione in grado di avere la maggioranza in Parlamento, in caso di insuccesso non è da escludere la probabilità di un secondo mandato di al-Kadhimi.

I seggi saranno distribuiti indicativamente in tal modo: Blocco di al-Sadr 73 seggi, Taqaddum Alliance 37 seggi, Stato di Diritto 35 seggi, Partito Democratico del Kurdistan 34 seggi, Alleanza Al-Fateh 20 seggi, Partito Unione Patriottica del Kurdistan 16 seggi, Azm Alliance 12 seggi, Imtidad 9 seggi, State Forces Alliance 5 seggi, il Progetto Nazionale iracheno 2 posti.