L’HDP NEL MIRINO DEI PARTITI NAZIONALISTI

Aggiornato il 31/03/21 at 10:33 pm

di Alice Ajmar —-  Da diversi mesi, su Twitter e durante le conferenze,  Devlet  Bahçeli, leader del MHP (Milliyetçi Hareket Partisi, cioè Partito del Movimento Nazionalista), reclama la chiusura del partito HDP, accusando gli esponenti dell’opposizione di avere legami con il PKK, organizzazione paramilitare che rivendica l’identità curda. Gli appelli degli ultranazionalisti avvertono di una presunta minaccia all’integrità dello Stato e sono ampiamente caldeggiati dagli alleati di governo dell’AKP, ma soprattutto dal presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Così il procuratore generale della Corte di Cassazione ha depositato l’atto d’accusa alla Corte Costituzionale, chiedendo inoltre l’interdizione dalle attività politiche di 687 membri dell’HDP per cinque anni. Nel frattempo il governo ha privato dello status di deputato l’avvocato e attivista per i diritti umani Ömer Faruk Gergerlioğlu, nonostante il processo giudiziario legato ad un suo tweet sulla ripresa dei processi di pace tra turchi e curdi non sia ancora terminato.

Nelle ultime ore i media locali riferiscono alcuni vizi formali e procedurali all’interno del dossier per il procedimento contro l’HDP: la Corte Costituzionale ha respinto momentaneamente la richiesta e ha rinviato alla Cassazione di Ankara il documento per la rettifica.

L’HDP (Halkların Demokratik Partisi, in italiano Partito Democratico dei Popoli), terza forza politica del Parlamento, viene fondato nel 2012 ed in pochi anni ottiene il consenso di circa 6 milioni di cittadini, ponendosi come portavoce privilegiato degli oppressi: difatti la sua ideologia si basa sull’egualitarismo, sull’ecologia e sulla difesa dei diritti delle minoranze. Appoggia le istanze LGBT+ e femministe, oltre a far parte dell’Internazionale Socialista come membro consultivo.

Il progetto di censura ed eliminazione dell’HDP fa leva sulle frange più reazionarie del paese e trova la sua attuazione tra le fila del governo: nel novembre 2016 avviene l’arresto di dodici parlamentari, tra i quali Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ e, ad oggi, 48 sindaci dei 65 comuni amministrati dall’HDP sono stati rimossi e sostituiti da funzionari di nomina statale.

Già in passato diversi partiti filocurdi hanno tentato d’imporsi sulla scena politica, ottenendo però risultati disastrosi. Forse il caso più conosciuto a livello internazionale è rappresentato dal DEP, Demokrasi Partisi: fondato  nel 1993, viene sciolto l’anno seguente dalla Corte Costituzionale dopo mesi di minacce, repressioni e l’arresto di otto deputati curdi (tra cui Leyla Zana, condannata a 15 anni di carcere con l’accusa di terrorismo).

La crisi economica galoppante (da quando Erdogan ha rimosso il governatore della banca centrale Naci Ağbal la lira turca ha subito un’ulteriore inflazione), l’uscita dalla Convenzione di Istanbul che sanciva l’impegno politico nella lotta alla violenza sulle donne e le recenti operazioni militari nel Rojava e nel Kurdistan iracheno deludono buona parte dell’opinione pubblica, oltre a provocare l’intesa tra diverse fazioni dell’opposizione. È evidente che per il governo la chiusura dell’HDP rappresenterebbe la sconfitta di un nemico che sta crescendo in termini di consensi e che, a lungo andare, rischierebbe di logorare sempre più la precaria stabilità della maggioranza, ma questa repressione non fa altro che rinvigorire il declino già rapido dei diritti umani a livello nazionale.