“Due paesi, un esilio”; le storie dei 250mila curdi siriani rifugiati nel Kurdistan iracheno

Aggiornato il 03/05/18 at 04:39 pm


di STEFANO PASTA

Fa parte del progetto “Focus on Syria” che vuole raccontare gli effetti umanitari della guerra giunta al quinto anno. I curdi siriani sono al centro di due nodi geopolitici: la guerra in Siria e la lotta per l’autonomia dei curdi divisi tra…. Siria, Iraq, Iran e Turchia. Il documentario racconta i loro sogni futuri, la relazione con i curdi iracheni
MILANO – “Due paesi, un esilio” è il documentario del cooperante italiano Federico Dessì e del videomaker francese Justin de Gonzague sulla situazione dei curdi siriani scappati nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Fa parte del progetto “Focus on Syria” che vuole raccontare gli effetti umanitari della guerra giunta al quinto anno. I curdi siriani sono al centro di due nodi geopolitici: la guerra in Siria e la lotta per l’autonomia dei curdi divisi tra Siria, Iraq, Iran e Turchia. Alla luce della doppia appartenenza – curdi e siriani – il documentario racconta i loro sogni futuri, la relazione con i curdi iracheni, l’accoglienza dei profughi del Governo di Erbil. Le risposte non sono mai in bianco e nero.
Giovane studente di teatro, lavora nei cantieri in costruzione. Si guarda i vestiti sporchi e rimpiange quando si esibiva al teatro di Aleppo. “Sono scappato perché ero ricercato per il servizio militare” spiega. Mohammed, ingegnere che parla molte lingue, lavora per uno stipendio da fame in un’impresa petrolifera e trascorre il resto delle sue giornate a casa. Akram, assistente sociale in un’ong, percorre le strade di Erbil per portare aiuto ai rifugiati senza tetto. Abu Nichirvan, disoccupato, è andato a vivere con la famiglia nel campo profughi di Domiz.
250mila rifugiati in una zona in crescita economica. Dildar, Abu, Mohammed e Akram fanno parte dei 250mila curdi che durante la guerra siriana si sono rifugiati nel Kurdistan iracheno, un territorio in cui la lingua e l’identità sono simili alla loro. È la Regione autonoma guidata da Massoud Barzani, i cui peshmerga stanno combattendo l’Is sostenuti dai bombardamenti della coalizione internazionale. Una zona in pieno sviluppo economico, dove la popolazione locale guarda al futuro con ottimismo e le opportunità di lavoro abbondano. Dildar, mentre addenta un panino in pausa pranzo, mostra il cantiere dove sta lavorando come addetto all’installazione dell’impianto di condizionamento e refrigerazione. “Diventerà un centro commerciale di quattro piani”. Nello stesso quartiere di Erbil, capitale della Regione, sono previsti grattacieli e centri commerciali. “Se un giorno – dice l’ex attore – il Kurdistan diventerà indipendente, lo considererò come la mia nazione. E se l’indipendenza non dovesse arrivare, mi accontenterò di aver posato qui una pietra”.
Il documentario “Due paesi, un esilio”. I curdi siriani rifugiati nel Kurdistan iracheno si trovano all’incrocio tra due grandi nodi geopolitici del Medio Oriente. Da un lato la guerra civile siriana, dall’altro la decennale lotta dei curdi per l’autonomia o l’indipendenza. Le loro storie sono raccontate nel documentario “Due paesi, un esilio” del videomaker francese Justin de Gonzague e dell’italiano Federico Dessì, che da anni coordina programmi di cooperazione e dal 2012 segue la crisi siriana facendo base a Beirut. Il documentario, girato tra le città di Erbil e Dohuk e i campi profughi di Domiz e Dara Shakran, fa parte di “Focus on Syria”. Coordinato da Dessì, è un progetto che coinvolge giornalisti, fotografi e operatori di ong per documentare l’impatto umanitario della guerra in Siria, giunta al quinto anno.
Risposte mai in bianco e nero. “Il nostro film – spiegano gli autori – non propone un particolare punto di vista, ci siamo sforzati di rappresentare la diversità e l’incertezza dei sentimenti di queste persone. La doppia identità, curda e siriana, influenza le loro paure e speranze, ma non ci sono risposte in bianco e nero”. Mohammed si è commosso quando, passando la frontiera, ha visto la bandiera curda e i segnali stradali nella sua lingua. Oggi però pensa che l’unità dei curdi non abbia più senso: è rimasto deluso da come le autorità curde irachene abbiano chiuso la frontiera con la Siria per tutto il 2014, eccetto il periodo gennaio-aprile. E per come i curdi siriani sono trattati: puoi lavorare solo se malpagato e senza qualifiche.
Il rapporto con i curdi iracheni. Davanti alle telecamere i curdi siriani esprimono le loro opinioni politiche, descrivono le loro relazioni con i curdi iracheni. In contrappunto, anche i curdi iracheni prendono la parola. È mostrata l’accoglienza organizzata dal Governo di Erbil che con l’Onu ha aperto otto campi profughi e ha organizzato l’insegnamento scolastico in curdo. Per il freddo d’inverno e la mancanza d’acqua (“La esponiamo al sole per purificarla” dice la moglie di Abu) rimangono un problema, mentre altre famiglie arrivate da poco dormono sul ciglio delle strade della capitale facendo l’elemosina.
Sognando il ritorno in patria. Ma quale? I profughi si ricordano delle discriminazioni in Siria (vietato il curdo nelle scuole, 250mila curdi senza documenti e trattati come stranieri), ma anche della buona convivenza tra i diversi gruppi etnici e religiosi. Alcuni rifugiati sognano di poter abitare un giorno in un solo Kurdistan, indipendente e unificato. Altri sperano piuttosto di ritrovare la Siria unita di un tempo. Tutti hanno nostalgia di casa loro e vorrebbero tornare al loro paese. Come dice Ahmed che ad Aleppo era avvocato: “Quando hai abbandonato la tua terra, anche se fosse un deserto ne avresti nostalgia”. “Torneremo, Inshallah”, aggiunge sperando Abu.
Fonte:repubblica.it

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