Iraq, iniziato l’esodo dei cristiani

Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm

Nella capitale si respira un’atmosfera di “calma apparente”, ma la gente è in attesa “del peggio”, chi può “corre a fare la spesa per accumulare scorte”, in vista del possibile assalto dei miliziani…….. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Saad Sirop Hanna, vescovo ausiliare dei caldei di Baghdad, che racconta un clima “di paura, mista ad attesa”. Il prelato aggiunge inoltre che “tanta gente sta lasciando la città”, alcuni in direzione del Kurdistan a nord, altri verso la Turchia. Ma ciò che preoccupa maggiormente i vertici della Chiesa caldea è l’esodo dei cristiani che, di fatto, è già iniziato. Sarà questo uno dei temi al centro del Sinodo, in programma a fine mese, anche se l’incontro “è a rischio” a causa delle violenze “che ostacolano lo spostamento dei vescovi” e vi sono problematiche oggettive nell’organizzazione e nella logistica. “La speranza – avverte – è che i prelati si possano riunire e lanciare un messaggio alla comunità cristiana”.
Nella prima mattinata di oggi alcuni militanti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis, formazione jihadista legata ad al Qaeda) hanno attaccato la raffineria petrolifera di Baiji, 210 km a nord di Baghdad. Si tratta del più importante sito del Paese; gli assalitori sono penetrati nel complesso, danneggiando alcune aree. Intanto le forze governative hanno compiuto nuovi raid aerei contro i miliziani, che puntano decisi in direzione di Baghdad. I cittadini della capitale hanno iniziato a rifornire le dispense con generi di prima necessità, nel timore di un esaurimento delle scorte. Il premier irakeno Nouri al-Maliki (sciita) è apparso in tv, assieme ad alti esponenti musulmani sunniti e leader curdi, lanciando un appello all’unità nazionale; tuttavia, il Paese nei fatti si sta sgretolando e si fa sempre più concreta la possibilità di una divisione in tre parti, come annunciato ieri da leader curdi. Del resto anche l’inviato speciale Onu a Baghdad Nikolay Mladenov afferma che è minacciata l’esistenza stessa dell’Iraq.
Raggiunto da AsiaNews l’ausiliare dei caldei sottolinea che per ora i miliziani sono a 60 km dalla capitale, ma fra la gente emerge già la paura del possibile, prossimo attacco. “Qualcuno sta già lasciando la città – conferma mons. Hanna – e una fuga significherebbe lasciare la porta aperta ai miliziani. Le strade sono spesso vuote, in molti quartieri si esce solo per fare la spesa o per altre cose di stretta necessità”. Regna una situazione di calma apparente, ma “c’è attesa per il peggio”. Molte famiglie cristiane, aggiunge, chiedono “certificati di battesimo e di matrimonio, per andarsene via. Non sopportano l’idea di subire un altro duro colpo, altre violenze e persecuzioni come avvento in passato; esse hanno sperato a lungo che la situazione cambiasse, ma non è così e siamo tornati al punto zero della guerra civile”.
ll pericolo concreto, riferisce l’ausiliare di Baghdad, è che divampi “una guerra civile su base confessionale, religiosa”; una parte “si mette contro l’altra”, si moltiplicano gli appelli ad arruolarsi nell’esercito, sono tutti segnali che “ci fanno piombare nella disperazione”. Il prelato auspica che vi siano “tentativi di riconciliazione all’interno della comunità politica”, perché la popolazione civile “è paralizzata e impaurita”, non ha interesse ad un conflitto e guarda ai propri leader affinché “promuovano la pace e una convivenza reciproca che emerge, è reale nella vita di tutti i giorni”.
Tuttavia, da più parti fra le alte sfere del potere viene sostenuta la teoria della partizione del Paese, quale unica soluzione alla crisi irakena. La Chiesa caldea rilancia forte il messaggio di “pace, unità, umanità e fraternità”, perché “la guerra non risolve i problemi”. “Se divampa una guerra civile – avverte mons. Hanna – per noi cristiani qui in Iraq è la fine. Dal 2010, all’indomani dell’attacco [alla chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, ndr] abbiamo cercato di calmare la situazione e incoraggiare i cristiani a rimanere… ma ogni anno gli ostacoli aumentano e la situazione peggiora”. Speriamo davvero, conclude il vescovo, che l’Occidente abbia capito che “la guerra non darà alcun risultato positivo, che la situazione in Medio oriente è complicata e che la pace torni a regnare su questa terra… Serve una pressione politica [internazionale] moderata sui politici irakeni, perché diano spazio al dialogo e alla comprensione”.(Asianews)

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