Halabja, per non dimenticare

Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm


di Shorsh Surme

Era un pomeriggio di fine inverno, «udimmo la prima esplosione delle bombe sganciate dai jet iracheni del regime di Saddam, e subito dopo sentimmo un odore di mele marce, già il bestiame che avevamo nel cortile cominciarono….. a crollare e morire, e solo in quel momento abbiamo capito che si trattava di armi chimiche». È il racconto di Munira Abdul Qader che allora aveva solo 10 anni: è una delle sopravvissute e testimone del più grande attacco con armi chimiche sui civili nella storia.
Infatti, il massacro della cittadina di Halabja nel Kurdistan dell’Iraq, per mano del regime di Saddam Hussein, rimane una delle pagine più nere della storia dell’umanità. Ventisei anni fa, in un pomeriggio come tanti altri, la morte silenziosa con le armi chimiche colse la gente che sperava un giorno di essere libera.
Era 16 marzo 1988 quando fu bombardata Halabja, nella provincia di Suleimania nel Kurdistan dell’Iraq; nel giro di mezz’ora morirono più di 6 mila e 600 persone. L’Occidente allora si limitò a una timida manifestazione nei confronti di Saddam, nonostante questi avesse palesemente agito contro i diritti umani, usando un’arma bandita dalla convenzione di Ginevra del 1925.
Alla fine di marzo del 1988, l’opinione pubblica internazionale venne a conoscenza, grazie a videocassette clandestine e fortunosamente giunte in Occidente, del massacro perpetrato con le armi chimiche a Halabja: uomini, donne, bambini, vecchi morirono tra spasmi atroci a causa dei gas tossici.
Zimnako Mohammed era piccolissimo. Ecco il racconto della madre, che riabbracciò il figlio dopo 21 anni: «Zimnako era nella mia braccia quando abbiamo udito il rumore dei caccia: ci siamo rifugiati nella cantina, metre il padre di Zimnako andò sul tetto di casa per capire quello che stava succedendo. Improvvisamente, il fratellino più grande, Sarteep, corse dal papà; ho sentito Sarteep piangere mentre cadeva. Mi precipitai verso di lui con un pezzo di stoffa imbevuto di acqua ma sono crollata. Quando ho aperto gli occhi mi sono trovato in un ospedale iraniano e i bimbi non erano non erano più con me».
Proprio allora una donna Iraniana di Kubra adottò Zimnako: lo chiamarono Alì. La madre adottiva morì in un incidente stradale. Zimnako “Ali” fu colpito e addolorato. Lei non gli aveva mai raccontato la vera storia per non farlo star male.
Ora, Zimnako “Ali” da quattro anni vive nella sua città natale, Halabja, tra la braccia della madre biologica, senza dimenticare i parenti della mamma adottiva, che va a trovarli spesso.
Il problema delle armi chimiche resta ancora una questione da risolvere, dato che molti Paesi del terzo mondo possiedono quest’arma micidiale anche grazie alle tecnologie dell’Occidente.
Non dimentichiamo che in questo momento la popolazione siriana sta vivendo l’incubo delle armi chimiche che il regime di Hassad possiede e che potrebbe usare, anche se alcuni oppositori hanno denunciato alla vigilia di Natale scorso l’utilizzo di “gas velenoso”.
Per questo la giornata del 16 marzo dovrebbe diventare la giornata mondiale contro l’uso di armi chimiche.
 

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