Repubblica Islamica dell’Iran fondata sul sangue

Aggiornato il 03/05/18 at 04:34 pm


di Mohsen Hamzehian( unione per la democrazia in Iran) – Italia

ITALIA  -  IRAN
Art. 1
L’Italia è una repubblica democratica
L’ Iran è una repubblica Islamica Art. 2  La repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti…….. inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale

L’Iran riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo mussulmano, sia come singolo, sia come formazioni sociali riconosciuto dal regime.
La Repubblica islamica è basata sulla sharia.

Art. 7
Lo Stato e la chiesa Cattolica sono indipendenti e sovrani
Lo Stato è al servizio del Giureconsulto (parlamento, assemblea degli esperti, Consigli dei Guardiani, polizia, Radio televisione ecc. ), l’ayatollah Ali Khamenei decide praticamente su tutto.

Art. 11
L’Italia Ripudia la guerra
L’Iran la promuove, in riferimento alla Jiahad islamica

Art. 12
La bandiera dell’Italia è tricolore La bandiera dell’Iran è tricolore, con una sostanziale differenza che vi è inserito il nome di ALLAH

Art. 13
La libertà personale è inviolabile
Non esiste la libertà personale, in particolare della donna

Art. 27
La responsabilità penale è personale In Iran si estende anche a parenti di primo grado.
L’imputato è ritenuto colpevole prima del processo

I cittadini di fronte alla legge sono uguali.
In Iran le donne rappresentano 53% della popolazione ma hanno metà diritti degli uomini.
Ai sensi dell’art. 115 della costituzione non possono essere elette come presidente della repubblica.
Le donne non possono svolgere funzioni giudicanti.

REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN FONDATA SUL SANGUE

La caduta del regime dello Scià nel 1979 ha aperto, in Iran, un cambiamento i cui effetti non si sono ancora esauriti.
Preoccupate che l’esempio delle masse sciite in rivolta potesse avere ripercussioni anche nel proprio paese, le elite militari sunnite irachene con l’aiuto dell’occidente, decidono di invadere l’Iran. Contano sul fatto che il regime rovesciato dello Scià abbia lasciato una società talmente lacerata ed indebolita da rivelarsi una facile preda.
Al contrario, nonostante i massicci aiuti occidentali, l’Iraq non riesce a sconfiggere rapidamente l’avversario e il conflitto si protrae, sanguinoso, sino al settembre 1988.
La società iraniana, in larga parte, in un momento storico così complesso, si affida all’unica rete organizzata capace di guidare la nazione che è quella degli ayatollah. Il regime della Repubblica Islamica, che avrà in Khomeini uno dei principali registi, mantiene compatto il paese, affronta una guerra quasi decennale e pone tutte le basi per un rafforzamento del proprio potere.
L’opposizione al crescente potere del regime degli ayatollah non è trascurabile. Il regime, con il pretesto della guerra e dell’unità nazionale a difesa del paese e della religione di stato, reprime ogni dissenso. Ma nel mese di Agosto 1988, quando la logorante guerra volge al termine, il regime ha la convinzione che potrebbe aprirsi un periodo di instabilità e che nel paese si possa vedere, tolto l’alibi del conflitto, con chiarezza la natura del regime islamico.
Nell’estate del 1988, su espressa fatwa di Khomeini, migliaia di oppositori incarcerati vengono uccisi senza alcuna pietà. E’ uno dei maggiori massacri di oppositori politici nel mondo.
La Fatwa di Khomeini, in quell’estate terribile del 1988, è rappresentata da pochissime righe, dove si chiede ai prigionieri politici di dichiarare la loro lealtà verso la repubblica islamica e di esprimersi sul loro credo politico. La non sottoscrizione di tali richieste ha determinato l’uccisione di oltre 5000* prigionieri politici in meno di un mese, in tutti i carceri del territorio nazionale.
Una parte delle vittime aveva già terminato la loro prigionia, molti avevano già una condanna definitiva e pochissimi avevano una condanna a morte. Tra loro molti minorenni e molte persone oltre i 65 anni . I loro corpi sono nelle fosse comuni, tra queste quella più importante è a Khavaran adiacente ad un cimitero armeno a Teheran.
Per almeno dieci anni nessuno ha potuto parlare del genocidio, e chiunque osasse parlare o discutere di questo fatto veniva minacciato di morte.
E’ tempo di parlare di questo tributo di sangue con il quale si è rafforzata e si è proiettata nel futuro il Regime della repubblica Islamica.

REGIMI ISLAMICI E MODERNIZZAZIONE

Le società in medio e vicino Oriente sono il riflesso, quasi ovunque, di governi non liberali (figuriamoci democratici). Queste società sono antidemocratiche nella forma politica, cioè sono una sorte di dittatura sociale, e la maggior parte assumono la forma di potere ereditario ( Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Yemen, Siria e il giureconsulto in Iran) .
Tutto ciò ha determinato istituzioni statuali incompatibili ( o fortemente conflittuali) con la democrazia moderna.
Nel 1979, in Iran, la lotta contro il regime dittatoriale dello Scià ( che era oggettivamente, rispetto all’attuale regime, un modernizzatore borghese) , ha fatto sviluppare, sino a renderli egemoni, i movimenti fondamentalisti.
La vittoria in Iran ha funzionato come esempio storico e come progettualità efficace: in tutto il Medio Oriente, dall’Africa, al Pakistan, all’Egitto, fino al Marocco si sono rafforzati i movimenti dell’integralismo religioso. Si è trattato quasi di un’adesione militante ad un “partito politico” antioccidentale capace di sostituirsi ai fallimenti nazionalistici. L’integralismo religioso ha raccolto la bandiera del nazionalismo e ha rilanciato i movimenti di massa. Naturalmente non per liberarli, come non intendeva liberare le masse oppresse il movimento nazionalista.
La fede in quanto tale ( islam, cristianesimo e giudaismo), finché rappresenta una espressione di spiritualità soggettiva non ha alcuna incompatibilità con il modernismo e la democrazia. Al contrario, la sua pervasiva fusione con la politica e la sua interferenza in tutti gli ambiti (ed in particolare nella vita intima del soggetto) finisce per poggiare la società su una contraddizione esplosiva tra i processi di cambiamento della vita collettiva e la staticità dei fondamenti religiosi.
La sovrastruttura religiosa non può metabolizzare i processi di cambiamento umano e i processi di cambiamento umano non possono essere mai integrati in un rigido credo religioso.
Forse il problema del Medio Oriente nasconde anche un’importante questione culturale. Lo sviluppo della cultura permette ad un paese di veicolare delle riforme strutturali, intervenendo sull’impianto della società. Gli effetti della cultura agiscono anche sull’economia del paese.
Non è difficile osservare come la presenza dell’integralismo sia direttamente proporzionale all’ arretratezza culturale o alla modernizzazione forzata.
Non bisogna, tuttavia, compiere l’errore di ritenere l’integralismo come qualcosa di folkloristico, immaginando i cammelli, il deserto oppure l’economia islamica come a qualcosa di arcaico.
In Iran il potere temporale è nelle mani di un’elite religiosa straordinariamente capace nel mantenimento di tale funzione, dotata dei più moderni mezzi tecnologici, supportata da fondazioni finanziarie, immensamente potenti e in stretto rapporto con l’economia del capitalismo liberista. Alcuni strati di questo potere economico sono completamente in sintonia con le forze finanziarie mondiali.
Per questo, nonostante l’apparenza, non è della pura emersione di un mondo passato che si deve parlare: ma della manifestazione di un potere attuale, radicato nella modernità, certo in quella modernità che è stata possibile data la storia economica e sociale dell’Iran.
Quindi la soluzione non è la riforma della religione, ma la riforma dell’economia e della politica.
Cosa ha reso possibile l’avvicinamento del cristianesimo alla modernità? Le religioni sono nate nell’antichità e qualche incompatibilità con la società moderna si vede ancora nettamente. Ma ciò che le ha avvicinate è stata la modernizzazione della società nel suo complesso. C’è un processo, molto complicato, che vede i popoli “emanciparsi” dal peso delle religioni, pur conservando un bisogno di spiritualità. Questo percorso è andato molto avanti in paesi come l’Europa, meno rispetto a noi in America e pochissimo nei paesi islamici. Qui si vive la storia che l’occidente ha affrontato da oltre due secoli.
L’islam, quando è presente nelle società moderne, si comporta esattamente come il cristianesimo nei paesi capitalisti. Ovviamente dove gli immigrati sono integrati (mantenendo l’identità culturale), senza alcun pregiudizi ( come USA, Canada e una parte dell’Europa), il loro contributo alla società incide positivamente sulla vita politica .
Il Medio Oriente ha un bisogno urgente di una trasformazione economica che lo trasporti da una realtà con la ricchezza concentrata nelle elite clanico-religiose – cioè da una economia modello del velayate faghih ( giureconsulto)- ad una politica economica di tipo trasparente e legale.
In paesi tipo Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Iraq, si trovano anche di fronte un altro problema rappresentato dalle risorse petrolifere.
I produttori di materie prime a basso costo per il mercato mondiale, sono condannati ad essere arretrati, perché basso costo significa bassi salari, mancanza di libertà sindacali, bassi consumi, mercato nazionale fragile, sistemi sociali impoveriti e ricattabili.
La dipendenza dello Stato dal petrolio ha prodotto, in decenni, un freno per la crescita anche della borghesia, per lo sviluppo delle classi medie, delle classi lavoratrici organizzate, dei sindacati liberi e della società civile. In questi paesi lo stato garantisce la sua sopravvivenza mediante la rendita petrolifera: questo tipo di economia produce un parassitismo che favorisce la sopravvivenza dei regimi che vi dominano .
Il petrolio nelle società non democratiche, come l’Iran di oggi, non solo è un freno dello sviluppo economico ma bensì è determina processi di concentrazione di tutti gli appalti nel mani dello Stato ( vedi la legittimazione del Passdaran, in ossequi dell’art. 147 della costituzione della R.I. ), costruendo mostruose agglomerazioni d’interessi di tipo mafioso.
Paradossalmente, solo la fine dell’era del petrolio potrebbe offrire prospettive sociali più democratiche ai paesi produttori, ma l’epoca di transizione o di scarsità petrolifera li sottopone ad una pressione gigantesca e conferisce alle elite che li governano un potere ricattatorio i cui effetti sono pagati solo dalle popolazioni.

LEGISLAZIONE ISLAMICA E DIRITTI NEGATI

Il C.P.I., è stato licenziato dal parlamento ( le cosiddette Camera e Senato), all’inizio degli anni ’80 e la fonte fondamentale è la legge della giurisprudenza sciita.
La maggior parte degli articoli del Codice penale islamico e del Codice civile sono in contrasto con il manifesto universale dei diritti dell’uomo, con la convenzione delle pari opportunità delle donne e con la convenzione del diritto del bambino.
Eccone alcuni stralci:
> nei confronti dei bambini : gli articoli 59 e 220, del c.p.i., ammettono azioni educative aggressive, oppure ne preparano tutte le premesse, nei confronti dei bambini. Infatti l’articolo 59 recita: le seguenti azioni non sono considerate reato ( azioni che vengono messe in opera da parte di genitori, dalla patria potestà legale, dai responsabili dei minori per l’educazione oppure la protezione, tenendo conto del fatto che le suddette azioni siano per la protezione e l’educazione), quindi è evidente come la figura genitoriale, in nome dell’educazione, possa esercitare un potere. L’articolo 220 tratta del caso in cui un padre, oppure un nonno, uccida un figlio: l’omicida non può essere ucciso, ma deve pagare un risarcimento agli eredi della vittima. L’età penalmente perseguibile per le ragazze è di 9 anni e per i ragazzi è di 15 anni. In caso di reato possono essere processati come gli adulti ( comma 1 dell’art. 1210 del codice civile e art. 49 comma 1 del codice penale islamico).
> nei confronti delle donne: l’articolo 209 mette in evidenza come le pene previste per l’uomo e la donna non siano uguali, nel senso che se un uomo uccide una donna è obbligato a pagare un risarcimento, per non andare incontro a pene più gravi.
Secondo l’art. 629 e 630 ( per le parti che riguardano la donna) del codice penale islamico, non è un reato l’ uccisione della donna da parte di suo marito nel caso di adulterio ( e nemmeno dell’uomo con cui si trova, in quel momento, la moglie).
Le donne che in pubblico portano il velo non conformemente alla prescrizione religiosa saranno incarcerate da 10 giorni a due mesi, oppure sanzionate amministrativamente ( da 50.000 a 500.000 rial). Attualmente esiste anche una legge per la quale ogni qualvolta vengano fermate dovranno riferire il nome del e/o parrucchiere/ ra, questo ultimo comprende anche l’uomo.
Il risarcimento spettante ad una donna vale metà dell’uomo.
Nel C.p.i. è sottolineato che se un uomo uccide una donna, e viene condannato a morte, se è disponibile a pagare metà del risarcimento previsto ( rispetto al reato se fosse commesso da parte della donna nei confronti dell’uomo, potrebbe essere lapidata), può essere salvo.
Gli articoli 83, 84, 102 e 104, prevedono la lapidazione: la maggior parte delle persone lapidate, oppure in attesa di lapidazione, è di sesso femminile.
La donna non ha facoltà genitoriale nei confronti dei figli, essa non ha neanche la facoltà di amministrare i suoi possedimenti, al contrario il padre oppure il nonno, in osservanza alla legge, possono vendere l’eredità e i soldi ottenuti possono essere usati a loro piacimento ( artt. 1180-1181 e 1183 del codice civile).
Le donne non possono trasmettere la loro cittadinanza ai figli. Sono stati espulsi molte migliaia di afghani dall’Iran; le donne che sono sposate con loro, se vogliono stare vicine ai loro cari, dovranno seguirli. Da quando esiste il decreto di espulsione degli afghani i loro figli ( sia essi figli afghani oppure figli misti, cioè di madre iraniana), non essendo persiani, non possono frequentare le scuole in Iran.
Le donne non possono essere soci dei loro mariti, quindi, se non sono occupate dopo il divorzio (considerato che la loro dote viene stabilita nel contratto matrimoniale e che in pochi casi vengono pagate), vivono in miseria. Il divorzio, strutturato come recita la legge in Iran, è uno dei motivi della distruzione sociale delle donne separate dal marito e fonte di depressione, prostituzione e suicidio.
In caso di morte del marito, la donna percepisce 1/8° del patrimonio monetario, mentre per quel che riguarda la proprietà immobiliare, oppure terriera, resta senza diritti di proprietà ( artt. 907, 913, 942, 946, 947 e 949 del codice civile).
Nella donna gravida dal quarto mese in poi ( quando la gravidanza è oggettivamente evidente), in caso di aborto, il risarcimento del feto femmina è metà del feto maschio ( artt. 209,210,273, 300,301 e 487); anche nei casi di sinistri il risarcimento della donna è metà di quello dell’uomo.
> a favore dei maschi: secondo l’art.1130 e 1133 del codice civile, il diritto dell’uomo al divorzio è illimitato, può essere richiesto senza particolari condizioni, mentre la donna non possiede la suddetta facoltà, e comunque ella dovrà presentare validi motivi ( che valgono comunque metà di quelli che valgono nelle motivazioni dell’uomo; in caso di testimonianza, in merito alle responsabilità del marito, la sua dichiarazione da sola non vale ed occorre un’altra persona testimoniante). Esclusi casi eccezionali, ella dovrà regalare (lasciare) tutti i suoi averi e qualche volta dovrà aggiungere altri beni al suo ex marito.
Secondo il codice civile nell’art. 1043 e 1044, le donne di qualsiasi età, nel caso di primo matrimonio, devono ottenere il nulla osta dal padre o dal nonno oppure dal tribunale. I ragazzi dall’età di 15 anni possono sposarsi senza alcuna autorizzazione, con qualsiasi ragazza vogliano.
Gli uomini, come prevede la legge, possono sposarsi con 4 donne, oppure con molte donne secondo un contratto limitato .
> nei confronti di altre religioni: l’articolo 210 definisce che l’uccisione di una persona di fede islamica non è uguale all’uccisione di una persona non mussulmana ( attenzione – non di altre religioni ma solo non mussulmana).
Ci sono articoli che incoraggiano la giustizia esercitata in proprio. Secondo la Corte Suprema la legge dello Stato da sola non è sufficiente a reprimere peccatori, corrotti e Mohareb( nemici di allah), ma dove non arriva la legge può arrivare il buon mollah, credente, contribuendo ad eliminare dalla faccia della terra depravati e pervertiti ( vi sono numerose sentenze dei tribunale nei confronti di altrettante persone che hanno fatto giustizia sommaria).

LE FONDAMENTA DELL’ASIMMETRIA E DELLA FRAGILITA’ DEI DIRITTI IN IRAN

Risulta evidente come non solo i diritti civili in Iran siano del tutto asimmetrici, ma mostreremo come siano aleatori.
La costituzione della Repubblica Islamica in tutti i suoi 177 articoli, risulta essere sotto il controllo degli organi repressivi.
Molti esperti sono convinti che la costituzione delle leggi in Iran, e la modalità in cui sono concepite, sia in relazione con lo stato teocratico e le leggi non abbiano alcuna funzione al di sopra delle parti.
La guida suprema, ieri l’ayatollah Ruhollah Khomeini e oggi l’ayatollah Alì Khamenei, controlla direttamente la polizia, le forze armate, le milizie islamiche, la tv e le radio, le fondazioni e le moschee ed esercita il condizionamento sul Consiglio dei guardiani della rivoluzione, la giustizia, il presidente della repubblica ( anche scegliendo chi possa concorrere a tale carica).
Ad esempio gli artt.154,155 e 156, dimostrano ( “ove parla dei poteri del giudice”) che i giudici non hanno alcuna autonomia dalla politica e la linea applicata è in ossequio della sharia espressione dell’illimitato potere del giureconsulto. Quest’ultimo potere è sancito dall’art.110 della carta costituzionale.
Le leggi in Iran non possono essere applicate senza il parere del giureconsulto. Parere che risente, a sua volta, anche dalla situazione politica e dalla sicurezza del paese in quel momento. L’applicazione del diritto dipende dalle minacce percepite dal regime stesso.
Durante la prima decade della rivoluzione tradita, la presenza del capo carismatico degli islamici Ayatollah Khomeini, ha condizionato tutte le decisioni ( così anche dopo la sua morte, con il vellayate faghih dell’ Ayatollah Alì Khamenei).
I condannati possono essere esclusi dal diritto di difesa, questa decisione è sancita dal codice penale: quando un reato è definito contro i poteri dello stato ( anche la partecipazione ad un dibattito in un blog, oppure in una manifestazione sindacale), il giudice può decidere arbitrariamente di escludere la difesa in fase di indagine preliminare( che non è il giudice dell’indagine preliminare), così che l’accusato risulta esposto senza tutela alle torture fisiche e psichiche nelle mani degli organi repressivi e normalmente finisce a confessare anche i reati non commessi.
Alla difesa non resta altro che prendere atto delle dichiarazioni del suo assistito durante il processo. Il dibattimento processuale assume una specifica teatralità: in modalità audiovisiva sono trasmesse le confessioni del condannato e le sue ammissioni di colpa. In tal modo si dimostra che non esistono oppositori nel regno di dio e nel sistema giuridico della sharia.
Le minacce degli organi repressivi si allargano anche nei confronti dei famigliari: chiedono che i prigionieri non rivendichino il diritto a propri avvocati e che potranno usufruire della difesa dell’avvocato d’ufficio.
Ogni anno che passa si moltiplicano le torture, il terrorismo e il massacro operato del regime della Repubblica Islamica dell’Iran.
Proprio perché il dolore e la sofferenza è una “costante sociale” del regime islamico, dopo tre decenni ancor è vivo nella popolazione, ed in particolare negli ambienti politici di opposizione e i famigliari, il ricordo di quel genocidio del 1988.
Contro questo mostruoso crimine non è mai stata presa alcuna posizione nemmeno negli ambienti dei riformisti filo Khatami. Lo stesso Mirhossein Mussavi, che allora era il primo ministro, non ha mai voluto esprimere alcun giudizio in merito.
Siamo di fronte ad un ulteriore paradosso del regime islamico: tutte le figure oggi sulla scena politica sono cresciute dentro all’apparato di potere e, data la sua lunghissima esistenza, ne hanno seguito le fasi di rafforzamento, di sviluppo e l’attuale fase convulsiva. Sono stati, necessariamente, parte attiva nei crimini che hanno stabilizzato il regime ed oggi si trovano nella condizione di essere essi stessi vittime, o comunque in conflitto, con l’ordine di cui riconoscono le contraddizioni ma non riescono a negarne i presupposti.

DENTRO ALLE TENEBRE

Il sistema giudiziario dell’Iran si trova al 2° posto nel mondo, per numero di impiccagioni a livello mondiale. Tale brutale repressione non ha ridotto assolutamente la voce della protesta delle donne e nemmeno delle associazioni che si occupano dei diritti umani in Iran e in tutto il mondo.
Gli anni del governo di Ahmadinejad, sono particolarmente generosi nei confronti della pena di morte, in particolare durante questi anni siamo testimoni di un aumento vertiginoso del numero di esecuzioni capitali nei confronti dei prigionieri politici (oltre 700%, rispetto l’ultimo presidente Khatami, se includiamo anche, il periodo post elettorale).
Le convulsioni delle società iraniana si riflettono anche nell’apparato di potere, rivelando le grandi tensioni che vive tutta la nazione iraniana.
La transizione, pilotata da una parte dei potentati religiosi, dell’Iran verso una apertura all’occidente ed una attenuazione del controllo religioso sulla società è fallito proprio attraverso la presidenza ( 1997-2005) del riformista Khatami. La guerra in Afghanistan ed in Irak ha “avvicinato” pericolosamente l’occidente all’universo iraniano e, allo stesso tempo, ha poste le condizioni per un ruolo regionale assai più rilevante per la nazione. Il peso strategico dell’Iran nel medio oriente è, inevitabilmente, in contrasto con la presenza occidentale nell’area.
Questa miscela, sociale e geostrategica, ha portato alla ribalta un nuovo fondamentalismo religioso il cui baricentro è rappresentato dalle milizie dei pasdaran e dai basiji ( forza di controllo e forza economica) ed ha condotto alla vittoria la fazione di Ahmadinejad. Fazione populista, nazionalista, convinta che l’Iran possa giocare una partita storicamente eccezionale nell’area. L’orizzonte di questa fazione è il predominio iraniano nel centro oriente, senza escludere l’eventualità di un conflitto.
Questo regime entro allo stesso regime islamico, che usa ancor più il controllo religioso come strumento di compattazione sociale, farà dell’Iran uno dei paesi detonatore di conflitti di larga portata.
Per questo, non solo il movimento secolare e democratico, che da tempo rivendica una società laica e democratica, ma anche una parte del regime ( alcuni riformisti, per altro attualmente o sono in carcere oppure fuggiti all’estero ) dopo le carcerazioni e le torture si sono resi conto che il regime è in uno stato di declino totale, che nello stesso nome non possono coesistere Repubblica e Islam. Uno contraddice l’ altro. Il giureconsulto, essendo un potere dispotico che non rispetta nessuna legge, non poteva scegliere come suo prodotto di concepimento altro che Mahmud Ahmadinejad, mettendolo a capo di un regno della vergogna, macchiato del sangue di centinaia di migliaia degli iraniani, per la seconda volte e speriamo come l’ultimo assassino del regime.

Il ruolo dell’opposizione

L’opposizione al regime della Repubblica islamica, crede nella nascita di un ordine nuovo basato sul rispetto della libertà della persona e della società, sul rispetto dei diritti umani.
Per anni abbiamo sostenuto che la repubblica islamica non è riformabile, anche quando i riformisti Khatami, Mussavi, Karuobi, Abtahi, ecc, erano al potere.
I tre membri della corrente riformista della repubblica islamica credono nel regime, cioè nelle sue basi fondamentali: codice penale, codice civile e costituzione. E’ una posizione non priva di contraddizioni, soprattutto quando la rivendicazione di diritti democratici elementari appare incompatibile con il regime islamico. Per tale motivo, le posizioni riformiste rimangono egemoni nel movimento Verde solo a patto di farsi esse stesse portavoce di esigenze di partecipazione, trasparenza e democraticità, negate dal regime alla cui porta le masse iraniane sono spinte, vanamente, a bussare.
L’opposizione all’estero, nell’ultimo anno, in seguito al colpo di Stato post elettorale del 2009, ha reagito in modo spettacolare contro il regime e in difesa dei milioni di persone all’opposizione in Iran. Ogni suo aderente ha agito con mezzi propri, in funzione delle sue posizioni sociali e politiche, raccogliendo la sfida derivante dalla crisi strutturale del regime islamico.
Sinteticamente si può tracciare, a circa 2 anni di distanza, la situazione in cui si trova il regime islamista in Iran:
1. completo screditamento del regime islamico a livello mondiale
2. lacerazione tra i membri della nomenclatura
3. crescenti contrasti nel clero
Tutto ciò rende ancora più importante il ruolo dell’opposizione all’estero, perché la crisi del regime farà dell’Iran una prigione grande quanto il suo territorio, cioè 1.648.000 km quadrati.
Le prigioni dell’Iran sono costruite e organizzate su modelli molto sofisticati, per distruggere ogni orgoglio e autostima del prigioniero.
La prigione, così com’è concepita, è lo strumento fondamentale del regime per reprimere i suoi avversari facendoli confessare, ed è per questo che è importante e determinante la rivendicazione dell’istituzione del tribunale internazionale per crimini commessi dal regime contro i prigionieri ed in particolare quel periodo che riguarda l’estate del 1988. Un periodo per il quale, oggi, gli ex prigionieri politici e i familiari degli uccisi rivendicano giustizia a livello internazionale.
L’opposizione all’estero, essendo inserita nel tessuto sociale, politico, scientifico ed istituzionale ove si trova, deve fare questo passo, insieme a professionisti, specialisti, per rendere la giustizia da impossibile a probabile. E’ una via fondamentale per creare fiducia della società civile iraniana, per far assumere credibilità agli ambienti politici internazionali.

FARE LUCE

Chiedere dalla commissione per i Diritti umani dell’ONU, l’istituzione di un tribunale per la punizione dei responsabili
( a nostro parere, la sharia al potere), di gravi violazioni dei diritti umani commessi nei carceri dell’Iran a partire dal 1980 fino all’estate 1988 , oggi è possibile. Occorre che una commissione, formata da esperti internazionali, venga incaricata per indagare tale massiccia violazioni dei diritti umani. Questa richiesta oltre a fare luce su quello che è successo, processando i responsabili, scoraggia i governanti a ricorrere a massacri in futuro.
Data la circostanza e i crimini compiuti, crediamo ci sia la possibilità di istituire un tribunale penale permanente sotto l’egida dell’ONU, per affrontare le atrocità commesse dal regime islamico.
La corte penale internazionale svoltasi a Roma nel 1998, è un mezzo efficace di lotta contro il regime islamico che è tuttora impunito per i crimini commesso in quell’estate 1988, uccidere in massa oltre 5.000 ( alcuni ambienti politici parlano di oltre 30.000), prigionieri politici. Lo statuto della corte permette di iniziare per poter accusare il regime islamico dei crimini commessi contro l’umanità.
Mettere a giudizio i crimini del regime islamico, vuol dire affermare i diritti umani in Iran: equivale a sostenere che anche in questo paese, in futuro, si possa affermare lo stato di diritto .

Mohsen Hamzehian( unione per la democrazia in Iran) – Italia
Updi@libero.it

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