C’è lavoro per gli spioni tra gli arabi Dal gas nervino in mano alla Siria alla caccia a Gheddafi all’embargo petrolifero, ecco i nuovi punti di crisi

Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm


di Carlo Panella

Mentre le truppe di Maher el Assad e i carri armati del regime continuano, poco disturbati dalle deboli pressioni della comunità internazionale a macinare vittime nelle strade siriane (3.100, tutte identificate, secondo gli oppositori), la Cia, tramite il Washington Post ha lanciato un drammatico allarme. Secondo quanto riferisce il quotidiano, fonti certe provenienti dalla centrale di Langley “hanno sollevato timori che un pur improbabile collasso del regime di Bashar el Assad provochi un drastico allentamento dei controlli sugli armamenti proibiti della Siria, dato che non è impossibile che le armi possano sparire nel caos di una sollevazione che distrugga i servizi di sicurezza”.
Queste armi di distruzione di massa, secondo gli esperti citati dal Washington Post, sono costituite da “alcuni degli agenti chimici più letali mai trasformati in armi, contenuti in migliaia di proiettili d’artiglieria e testate facili da trasportare”. Tra questi, il gas nervino (nelle sue varie forme: Tabun, Vx e Sarin), già impiegato da Saddam Hussein e dal cugino Ali al Majid, “Ali il chimico”, per la strage del 16 marzo 1988 ad Halabja. Armi messe al bando da trattati internazionali di cui oggi sicuramente Damasco dispone, anche perché con ogni verosimiglianza Saddam Hussein le fece trasportare in Siria alla vigilia dell’invasione della “Coalition of Villing” (ragione per la quale non furono poi trovate, con conseguenti accuse alla Amministrazione Bush). Queste rivelazioni sono interessanti in se stesse e danno un crudele rilievo alle attestazioni di “volontà riformista”, attribuite sino a poche settimane fa al regime siriano da tutti i dirigenti dei democratici, come da Hillary Clinton, e premiano le ben più ponderate analisi di George W. Bush che ha sempre considerato la Siria un Rogue state. Ma la decisione della Cia di pubblicizzare l’esistenza di armi di distruzione di massa in Siria punta oggi soprattutto a motivare i dubbi circa l’atteggiamento da tenere nei confronti della crisi siriana. Spiega anche le posizioni ondivaghe e le lacerazioni interne alla Amministrazione Obama, più volte messe in rilievo con spirito critico sia dal Washington Post che dal New York Times. E’ infatti evidente l’intento dei dirigenti della Cia di fornire pezze d’appoggio e motivazioni ulteriori a favore di una politica morbida nei confronti di Assad, nell’ottica di chi preferisce attestarsi a favore di una tenuta del suo regime, per timore che il paese cada in un caos che non sa controllare.
Meno disposta a una politica attendista è invece la confinante Turchia, che pure aveva molto puntato sulla recente “alleanza storica” con Damasco costruita da Tayyip Erdogan e dal suo ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu. Il presidente turco Abdullah Gül, ha infatti rinnovato ieri le minacce di intervento militare turco in Siria già avanzate un mese fa: “Nel mondo di oggi non c’è posto per i governi a partito unico. O i leader di questi paesi prendono l’iniziativa o saranno cambiati a forza”. Erdogan, di concerto, ha avvertito Assad: “Abbiamo visto le conseguenze per chi non sceglie la strada delle riforme, in Tunisia, Egitto e Libia. Far tacere subito le armi e accettare le domande della gente è l’unica via di uscita”. Questa pressione di Ankara su Damasco ha motivazioni che vanno al di là della logica umanitaria e dello sdegno – pure sincero – da parte dei leader democratici turchi nei confronti delle stragi del regime siriano. Il quotidiano arabo in lingua inglese al Hayat (vicino alla corte saudita, ma con spirito critico), afferma infatti che fonti dei servizi segreti turchi hanno rilevato con certezza che la recente ripresa virulenta degli attacchi terroristici del Pkk curdo (fondato da Abdullah Öcalan), compreso l’attentato che ha ucciso otto militari turchi il 17 agosto, è conseguente alla piena agibilità del territorio siriano di nuovo concessa al Pkk da Damasco. E’ una violazione piena del trattato turco-siriano di Adana del 1999 (che portò alla fuga in Italia dalla Siria di Öcalan e poi alla sua cattura) che si somma alle continue razzie e stragi che l’esercito siriano compie a Deir Ezzor e in altre città del Kurdistan siriano. Eccidi che contribuiscono a infiammare ulteriormente la questione curda, spina nel fianco della Turchia dal 1984 con non meno di 45 mila morti dalle due parti.
Il trattato di Adana – il punto è di grande rilievo – prevede peraltro l’autorizzazione da parte di Damasco all’esercito turco a compiere rapide razzie sul suolo turco per inseguire gruppi di terroristi curdi. Uno spiraglio formale, che può offrire il destro un domani ad Ankara, anche in assenza di un mandato Onu (la Russia con Dmitri Medvedev ha ribadito ieri che continuerà a boicottare col veto ogni risoluzione punitiva verso Damasco del Consiglio di sicurezza) per effettuare una azione militare in territorio siriano. Azione che sicuramente – se mai sarà attuata – avrebbe un ambito territoriale limitato, ma che può avere un “effetto segnale” non secondario su quei consistenti circoli economici e politici (anche sunniti) che continuano nonostante tutto – anche se con crescente incertezza– a schierarsi al fianco del regime. Questo succede anche perché la tardiva decisione della Ue, che alla fine di questa settimana dovrebbe riuscire a rendere operative le sanzioni che contemplano anche il blocco di tutte le
importazioni di petrolio dalla Siria, può effettivamente innescare una reazione positiva da parte degli strati medio alti della popolazione che continuano a sostenere Assad. Questo blocco potrà infatti avere conseguenze non secondarie su una economia già fiaccata dalla siccità che ha dato esca alle proteste di marzo a Daraa (che continuano) e dal crollo verticale del turismo che contribuisce per un consistente 12 per cento al pil. Sul fronte della repressione, ieri si sono registrati, come ormai ogni giorno, una decina di morti in varie città, mentre a Hama è stato rapito da “armati” il nuovo governatore imposto dal regime dopo l’assedio e i bombardamenti a tappeto dell’abitato di 20 giorni fa.
Fonte:- FOGLIO QUOTIDIANO

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