Aggiornato il 03/05/18 at 04:35 pm
di Roberto Del Bianco (Peacelink)
Sembra fuori tema parlar qui di archeologia; ma dopotutto queste note son pur sempre ambientate in Iraq…
Patrimonio dell’umanità
La Cittadella di Erbil, la grande fortificazione che sovrasta la capitale del Kurdistan iracheno, è probabilmente il più antico insediamento urbano al mondo. E l’UNESCO è in procinto di assegnarle l’importante riconoscimento.
Quando cultura e pace possono abbracciarsi.
Rimangono vivi in me i ricordi della Mission di cinque anni fa nel Kurdistan iracheno, al seguito della delegazione italiana dei “Mayors for Peace” e assieme ad un altro “esploratore” e grande amico, Andrea Misuri di cui ogni tanto anche qui trapelano suoi scritti. Un’emozione che non è tramontata, nel visitare la Cittadella di Erbil, la grande fortificazione che sovrasta il capoluogo, e che è probabilmente il più antico insediamento urbano al mondo. Un’emozione unica, essersi trovati lì, al tempo stesso protagonisti del vecchio e del nuovo mondo.
Eh sì! Verso una riconquistata libertà, il popolo curdo sta recuperando anche i propri tesori archeologici. Tra questi, la Cittadella che ne è in qualche modo il simbolo per il mondo intero.
Da un paio d’anni ci lavorano archeologi esperti del Gema Art Group di Praga, una volta iniziata la collaborazione tra la Direzione generale delle Antichità, il dipartimento di Archeologia dell’Università Salahaddin di Erbil, con la consulenza del Consiglio delle Antichità di Baghdad e il ministero degli Esteri della Repubblica Ceca. Di recente, anche gli italiani Carlo Cereti dell’Università “La Sapienza” di Roma e Roberta Giunta dell’Università di Napoli “L’Orientale”. Nel frattempo, il Governo iracheno ha chiesto il riconoscimento della Cittadella come Patrimonio dell’Umanità, ed è in atto la procedura dell’Unesco, che ha iniziato i lavori per un Conservation Master Plan.
Ed è questa la bella novità!
Il centro storico di Firenze è diventato nel 1987 Patrimonio mondiale dell’Umanità, quindi potrà aiutare Erbil a sostenere la richiesta di uno stesso riconoscimento. E l’Assessorato alla Cultura del Comune di Firenze (Assessore Giuliano da Empoli) dopo aver visitato la Cittadella, ha accolto l’idea di promuovere un convegno di approfondimento tra esperti locali e italiani.
Da Erbil arriveranno il presidente del Consiglio Comunale Salar Khudhur Hussein ed esperti come l’Arch. Dara Al-Yaqoobi direttore di HCECR (High Commission for Erbil Citadel Revitalization) di Erbil.
Ma non si parlerà soltanto di questo. Si parlerà del passato e del presente di un Iraq, terra martoriata ma non divisa. Perché infatti il Kurdistan in Iraq non chiede l’indipendenza, ma accetta il ruolo di regione autonoma, con un’autonomia economica legata al ritorno di una parte delle risorse dovute all’estrazione del petrolio. Mentre ad esso giova l’avere una forte rappresentanza parlamentare e ministeriale nel governo centrale in Baghdad, impegnata a seguire lo sviluppo economico del nord del Paese.
Sarà presente anche il giovane regista Fariborz Kamkari, scrittore e regista de I fiori di Kirkuk. E’ curdo iraniano e appassionato nella questione della riconquista delle libertà democratiche in Mesopotamia.
Egli è scrittore e regista del film “I fiori di Kirkuk”, e dalla sceneggiatura del film ha tratto l’omonimo romanzo. Storia d’amore che si svolge nell’arco degli anni che vanno dall’invasione dell’Iraq da parte di Bush padre all’invasione di Bush figlio. Amore che s’intreccia con il dramma della guerra, con la persecuzione dei curdi, con le scelte che ciascuno dei protagonisti si trova a dover fare. Scegliendo tra i sentimenti e la realtà quotidiana.
Il film che si svolge anche nella Cittadella di Kirkuk è un’occasione per parlare, informare delle storie di persecuzione vissute da un popolo che fino ad ora non ha avuto l’opportunità di raccontare l’oppressione culturale subita. Girato proprio nella Cittadella di Erbil, perchè altrettanto coreografica di quella di Kirkuk, e senza le difficoltà legate al girare a Kirkuk.
Non sarà certo solo un convegno che tratta di archeologia, bensì un momento che aiuterà a spostare in avanti la frontiera della conoscenza e del valore dato dall’unicità dell’essere tutti uguali sul fronte della terra. La guerra separa le qualità migliori della società.
Colpisce la “naturalità” di quanto sta scritto. Da una regione che i media dipingono sempre come teatro di una guerra infinita, o vittima dello stillicidio di attentati che, alla fine, non hanno neanche ormai tanto spazio nei giornali. Una regione che tutti noi, nel nostro immaginario, vediamo popolata da uomini armati, donne col burqa, e costellata dai check point e impregnata dalla paura perenne che ogni passo compiuto in quelle strade potrebbe esser l’ultimo.
Certo l’Iraq di oggi è ancora terra di violenze. Ma eccola qua, la normalità, la “naturalità”. Ché qua si parla di governi e ministeri, di sovrintendenze all’antichità e di spedizioni scientifiche, in luoghi che – non dimentichiamolo – furono la culla dell’umanità intera.
E proprio per questo, ecco il valore di queste azioni, che non parlano esplicitamente di pace ma che attraverso la valorizzazione di culture millenarie possono portare progressivamente al cambiamento di pensiero, alla mentalità che non ha bisogno delle armi per mantenere in vita un popolo.
Una cultura che genera il cambiamento. E toglie dall’isolamento un popolo che desidera sempre più far parte dell’umanità, e parteciparvi attivamente nel mondo “di fuori”, nel mondo d’oggi.
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