Il regime di Damasco reprime la rivolta. Ora bombardiamo anche Assad?

Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm


L’Opinione di Carlo Panella

Il grande successo delle manifestazioni antiregime in Siria, e la ferocia della repressione messa in atto dal fratello di Bashar el Assad, Maher al Assad, che comanda la Guardia presidenziale, rischiano di porre Nicolas Sarkozy e la sua “dottrina” di intervento in una posizione scabrosa. “Ogni dirigente, in particolare quelli arabi, deve capire che la reazione della comunità internazionale e dell’Europa d’ora in poi sarà ogni volta la stessa – ha detto il presidente francese – Saremo dalla parte delle popolazioni che manifestano senza violenza e che non devono essere represse con violenza. Non c’è alcuna ragione per fare una differenza sulla questione”. Concetti simili, ma in forma meno minacciosa, sono stati espressi dal segretario americano alla Difesa, Robert Gates: “I siriani devono imparare la lezione dell’Egitto. Damasco ha di fronte la stessa sfida degli altri governi della regione e lo stesso disagio dei loro cittadini”.
Se così deve essere, la Francia dovrebbe prepararsi subito a bombardare anche il bunker di Assad, lo stesso presidente che Nicolas Sarkozy – con immenso scandalo dei generali francesi – volle addirittura al suo fianco sugli Champs-Elysées per la parata del 14 luglio 2009. Ieri, dopo aver realizzato che la protesta cominciata una settimana fa nella città di Daraa si allarga senza sosta, il regime siriano ha preso esattamente la strada evocata dal presidente francese. Le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla e hanno ucciso non meno di trenta manifestanti, come dice il network al Arabiya. Il quadro delle manifestazioni nel paese arabo più poliziesco – al confronto, Egitto, Tunisia e Libia erano paradisi liberali – è indicativo. A Daraa, nonostante lo stato d’assedio (il cordone impenetrabile dell’esercito ha impedito a tutti i giornalisti di avvicinarsi), migliaia di manifestanti si sono diretti verso la casa dell’ex governatore che ha ordinato gli eccidi, hanno dato fuoco alla statua di Hafez el Assad, il padre di Bashar e Maher, e sono stati mitragliati dalle forze di sicurezza. Il bilancio è incerto: su Twitter gira la cifra di 25 morti, ma pare siano meno.

Contemporaneamente, un corteo di tremila cittadini che provenivano da tutti i paesi della regione ha cercato di raggiungere il capoluogo Daraa, ma è stato fermato a Sanamein dal fuoco delle forze di sicurezza, che hanno fatto una quindicina di vittime. Ci sono state manifestazioni anche a Ladhiqiyah e Homs, come mostra un filmato in cui si vedono migliaia di persone (qui il numero delle vittime del fuoco della polizia resta imprecisato); a Hama, la città in cui lo zio di Bashar e Maher, Rifat el Assad, uccise nel 1982 non meno di duemila manifestanti a suon di cannonate; a Qamishli, nel Kurdistan siriano, e ad Aleppo, dove la polizia ha caricato la folla che cercava di radunarsi all’ingresso di una moschea, subito dopo la preghiera del venerdì. Ma ci sono stati scontri persino nel cuore di Damasco: in centinaia hanno protestato nella moschea degli Omayyadi, e tremila persone si sono radunate in una piazza di Duma, sobborgo industriale della cintura urbana, chiedendo il rilascio dei prigionieri e rifiutando “ogni negoziato col governo fino alla caduta del regime”.

Al pugno durissimo si somma – ed è un tratto tipico del regime siriano – la sfacciata negazione di ogni volontà di violenza che segna la versione del regime. Per la portavoce del governo, Reem Haddad, “la polizia non spara cartucce vere contro i manifestanti pacifici; la forza è usata soltanto con chi spara alle forze di sicurezza”. Parlando con una giornalista di al Jazeera, Haddad ha detto che “nessuna manifestazione pacifica è stata vietata; la polizia usa la forza contro chi non è un manifestante, ma va in piazza armato”. Le parole di Sarkozy non sono passate inosservate in Europa. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha duramente criticato la posizione del presidente francese, preda di evidente agitazione pre elettorale. “Non è una soluzione minacciare i leader arabi di un intervento militare dell’Europa – ha detto il ministro tedesco – Vedo una discussione molto pericolosa con gravi conseguenze per la regione e il mondo arabo nell’insieme”.

Fonte: FOGLIO QUOTIDIANO
 

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