‘I fiori di Kirkuk’, l’amore in Iraq ai tempi di Saddam. Il regista: “Najla è una donna coraggiosa”

Aggiornato il 03/05/18 at 04:37 pm


1 nov. (Adnkronos) – C’è il tema sempre attuale dell’amore impossibile tra Najla e Mokhtar, narrata sullo sfondo di un Iraq devastato dal brutale regime di Saddam Hussein, ma anche quello del pericolo dei genocidi e delle persecuzioni contro le minoranze etniche, ancora non del tutto scongiurato. C’è questo e molto altro ne ‘I fiori di Kirkuk’, uno dei film rivelazione di questa quinta edizione del Festival del cinema di Roma.
Girata interamente in Iraq l’attesissima pellicola, che verrà presentata domani alla stampa, e tracciata sulla scia di una coraggiosa donna araba che, facendo da filo conduttore, si trova a dover scegliere tra le proprie tradizioni famigliari e i sentimenti e gli ideali che la animano. “La protagonista è una giovanissima musulmana -ha detto all’Adnkronos il regista Fariborz Kamkari- che forse per la prima volta nel cinema non è moglie, non è madre, non è amante: è una donna vista come essere umano capace di decidere il suo destino. Mi mancava tanto, come regista mediorientale, raccontare la donna in questo modo perché da noi ce ne sono tante ma nel cinema, purtroppo, sono sempre state ignorate”.
Il film pone l’accento sul tema della responsabilità delle scelte personali. La protagonista Najla sceglie infatti, col cuore, di aiutare proprio quelle minoranze perseguitate dagli aggressori categoria cui lei stessa appartiene. “Volevo raccontare -sottolinea il regista- come ognuno di noi può reagire trovandosi a confrontarsi con situazioni così gravi e profonde”. Perché il tema delle minoranze etniche di cui si parla “non è solo quello del genocidio dei curdi ad opera di Saddam, ma un problema più diffuso ancora oggi non del tutto scongiurato”.
‘I fiori di Kirkuk’ è stato girato interamente in Iraq, tra la cittadina di Erbil e quella di Kirkuk. Un progetto apparentemente ostico e sulla carta quasi impossibile, che si è invece rivelato più semplice del previsto anche grazie al coraggio di due produttrici italiane (il film è la prima co-produzione internazionale tra Italia, Svizzera ed Iraq dall’inizio della guerra nel 2003) che ci hanno creduto fin da subito, Fabrizia Falzetti e Dorotea Morlicchio.
“Abbiamo avuto, girando in quei luoghi, una collaborazione che non ci saremmo mai aspettate -ha raccontato all’ADNKRONOS Dorotea Morlicchio- da parte di tutte le autorità. Ci hanno messo a disposizione una scorta di mezzi e militari ma soprattutto siamo stati accolti da un grande entusiasmo”. Un segnale importantissimo “di apertura verso gli stranieri -sottolinea la produttrice- una grande fiducia, non avevano nessun timore”.
Un progetto rischioso nel quale l’investimento di privati appare particolarmente significativo in tempi di tagli pubblici sempre più consistenti. “Il messaggio è anche questo -conclude Morlicchio- visto che i finanziamenti pubblici sono sempre meno è importante che ci siano dei privati che si impegnino in progetti in cui credono”.

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