La lotta curda e il futuro del PKK: riflessioni su un cambiamento epocale

Aggiornato il 14/05/25 at 07:04 pm

di Nurgül ÇOKGEZİCİ ———Negli ultimi anni – e in modo ancora più evidente negli ultimi mesi – stiamo assistendo a un forte risveglio del nazionalismo curdo. Una crescente consapevolezza identitaria sta animando le nuove generazioni e riaccendendo il dibattito su uno dei movimenti più controversi e longevi del Medio Oriente: il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan).
Fondata oltre mezzo secolo fa, questa organizzazione ha segnato profondamente la storia della resistenza curda in Turchia e oltre, rappresentando per molti curdi non solo un braccio armato, ma un simbolo di dignità, autodeterminazione e orgoglio culturale. In 47 anni di lotta, il PKK ha mutato forme, ideologie e strategie, ma non ha mai cessato di rappresentare – per una parte significativa del popolo curdo – una concreta possibilità di emancipazione.
Un Kurdistan sotto influenza straniera?
Tra le riflessioni più delicate e discusse, vi è quella sul possibile coinvolgimento di Israele nel futuro assetto geopolitico del Kurdistan. Alcune teorie ipotizzano che Israele potrebbe sostenere, o persino gestire, la nascita di uno Stato curdo. Ma quali sarebbero le conseguenze di un Kurdistan sotto influenza esterna? Sarebbe realmente libero? O rischierebbe di diventare un’ulteriore pedina nello scacchiere mediorientale? È un interrogativo aperto, che suscita diffidenza anche tra gli stessi curdi, ben consapevoli dei rischi legati a nuove forme di colonizzazione politica.
Autonomia e nuove prospettive
Quel che è certo è che il panorama sta cambiando. Con la progressiva normalizzazione di alcune realtà curde – come nel caso della Rojava in Siria e del Başûr in Iraq – e con l’emergere di rivendicazioni sempre più esplicite all’interno della Turchia, si profila all’orizzonte una nuova fase. Alcuni osservatori ritengono che ci si stia avvicinando a un momento storico: la possibile concessione di una qualche forma di autonomia ai curdi in Turchia, e persino la nascita di un’entità curda autonoma nel Bakur, nel Kurdistan turco.
In questo scenario, il PKK potrebbe essere pronto a cambiare ancora una volta pelle. I segnali sono chiari: da tempo l’organizzazione non è più coinvolta direttamente in conflitti armati su larga scala. Inoltre, si parla sempre più apertamente della necessità di rimuovere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche: un passo fondamentale per aprire un nuovo capitolo, anche sul piano diplomatico.
Una lotta che non si può cancellare
Molti affermano che i curdi esistessero ben prima del PKK. Verissimo. Ma è altrettanto vero che la lotta portata avanti in questi ultimi 47 anni ha segnato in modo profondo l’identità collettiva del popolo curdo contemporaneo. Ignorare o rimuovere questa storia equivarrebbe a cancellare una parte fondamentale del patrimonio culturale e politico di un’intera nazione.
Il PKK è un’organizzazione complessa, strategica, tutt’altro che banale. Non può essere ridotta a una narrazione semplificata. Ha saputo resistere all’assimilazione culturale e alla repressione politica, anche grazie alla forza della sua ideologia e al carisma del suo fondatore, Abdullah Öcalan. Quest’ultimo, profondamente influenzato dagli studi antropologici e psicologici – come quelli di George Devereux – ha sempre sostenuto che l’identità culturale non può essere annientata: segue l’individuo come un’ombra, e resta viva anche quando sembra silente.
Una consapevolezza popolare radicata
La consapevolezza politica dei curdi non è limitata all’élite intellettuale. Vive anche nelle madri analfabete che, pur non sapendo leggere né scrivere, sono in grado di affrontare con lucidità e profondità discussioni politiche. È un sapere che nasce dalla sofferenza, dall’esperienza diretta dell’oppressione, e si trasmette attraverso il vissuto quotidiano, di generazione in generazione.
Simboli e memoria
Il recente annuncio delle morti di due figure storiche del PKK, Ali Haydar Kaytan e Rıza Altun, durante il congresso del 12 maggio, è un altro elemento significativo. Perché solo ora? Perché prima non sarebbe stato possibile: in un contesto di proibizioni, isolamento e repressione, quei nomi sarebbero passati sotto silenzio, rischiando l’oblio. La loro commemorazione pubblica è un messaggio politico, un simbolo potente: qualcosa sta cambiando.
Conclusione
Oggi, più che mai, il popolo curdo si trova davanti a un bivio storico. La lotta per il riconoscimento, l’autodeterminazione e la dignità continua, ma potrebbe assumere forme nuove, più complesse e strategiche. Il PKK, nel bene e nel male, è stato parte integrante di questo cammino. Onorarne la memoria non significa necessariamente approvarne ogni azione, ma riconoscere la complessità della storia curda e la necessità di costruire un futuro fondato sulla consapevolezza, sulla giustizia e sulla libertà.
Il tempo ci dirà se stiamo davvero entrando in una nuova era. Nel frattempo, ascoltare le voci che provengono dalla base, dalle famiglie, dalle montagne e dai quartieri, resta un atto fondamentale per comprendere appieno la portata di ciò che sta accadendo.