
Aggiornato il 03/05/25 at 06:34 pm
di Hüsamettin Turan ———–Laresistenza incarnata nella figura di Seyid Rıza non rappresenta soltanto il genocidio di Dersim del 1937-38, ma costituisce anche l’essenza della lotta esistenziale che il popolo curdo conduce da secoli. Il suo rifiuto di sottomettersi è percepito come una risposta etica e politica alla violenza omogeneizzante dello Stato-nazione, e lo consacra come figura potente nella memoria collettiva curda. Questa forma di resistenza non è soltanto fisica, ma costituisce anche una richiesta ontologica di soggettivazione.
Come osservato dal pensatore anticoloniale Frantz Fanon, i popoli colonizzati “non sono soltanto uccisi, ma anche condannati all’oblio.” Le parole pronunciate da Seyid Rıza prima dell’impiccagione: “Non sono riuscito a combattere con le vostre menzogne e inganni, e questo è stato il mio tormento. Ma neppure mi sono inginocchiato davanti a voi. E questo sia il vostro tormento.” – si fissano al centro della storia che si vuole dimenticare come un chiodo simbolico della memoria e della resistenza. Questa affermazione è il grido d’onore del popolo curdo contro l’ideologia omogeneizzante della moderna Repubblica di Turchia.
Come si evince dalle categorizzazioni orientaliste di Edward Said, le politiche statali condotte con il discorso della “civilizzazione” hanno associato Dersim alla barbarie, all’arretratezza, all’alterità incontrollabile. Lo sterminio e la deportazione del 1937-38 non furono una questione “di sicurezza pubblica”, bensì un tentativo sistematico di cancellare la memoria, la fede e la geografia dei curdi. Proprio per questo, la voce di Seyid Rıza si trasforma in un appello alla libertà senza tempo, non solo per i curdi ma per tutti i popoli oppressi.
I media curdi svolgono un ruolo fondamentale nel trasformare questo appello in un’eredità attuale di resistenza. Testate come Rudaw, Welatpress, Rojnews e l’Agenzia Mesopotamia rinnovano ogni anno, in occasione delle commemorazioni di Dersim, la memoria di Seyid Rıza, presentandolo non soltanto come figura storica ma come principio politico-etico valido anche per il presente. In particolare, l’analisi pubblicata da Welg Medya con il titolo “Possedere lo Spirito di Pir Sultan” definisce lo spirito di Seyid Rıza come fermento delle lotte contemporanee. Nel comunicato del Comitato Centrale dell’HDP del 2020, si sottolinea che “il suo sogno vive oggi nella resistenza di Kobanê,” creando così una continuità tra le lotte storiche e quelle attuali del popolo curdo.
Il concetto di “comunità immaginata” di Benedict Anderson mostra come le identità nazionali vengano costruite attorno a simboli. In questo contesto, la figura di Seyid Rıza è uno dei miti fondativi dell’identità nazionale curda e rappresenta anche la manifestazione simbolica della richiesta di giustizia popolare. Oggi il suo nome è un portatore di appartenenza politica costruita attraverso la memoria collettiva in una vasta geografia che va da Dersim a Şengal, da Qamışlo a Mahabad, includendo anche la diaspora curda in Europa.
Le pratiche di negazione e invisibilizzazione a cui ancora oggi sono sottoposti i discendenti di Seyid Rıza e la società di Dersim mostrano come questa memoria si incarni in lotte politiche attuali. Il rifiuto ufficiale della sua statua, il mancato riconoscimento del luogo della sua sepoltura, non rappresentano solo una negazione del passato, ma costituiscono una violenza epistemica contro la ricerca della verità del popolo curdo di oggi
Quando Seyid Rıza, di fronte al tribunale che lo condannò a morte, dichiarò: “Sono punito perché curdo e alevita”, non espresse soltanto una condanna personale, ma articolò l’emarginazione sistematica a cui è stato storicamente sottoposto un intero popolo. In questo senso, egli non rappresenta “l’altro che non può parlare” di cui tanto si discute nella letteratura postcoloniale, bensì l’altro che parla e si ribella. E proprio questa rappresentazione fa di lui un elemento imprescindibile dell’immaginario politico curdo contemporaneo.