Aggiornato il 03/11/25 at 03:21 pm
di Hussamettin TURAN——I massacri compiuti dai kemalisti a Dersim, Ağrı, Koçgiri e Amed trovano oggi un parallelo in Sudan. Le persone vengono bruciate in massa, decine di migliaia di civili donne, bambini e anziani vengono sistematicamente uccisi. Se non si interviene urgentemente dall’esterno, non è più una previsione: milioni di persone saranno sterminate. Attualmente il numero dei civili uccisi si parla di centinaia di migliaia, ma la portata della distruzione sul campo supera di gran lunga le cifre. Città, villaggi, ospedali e rifugi vengono dati alle fiamme; la gente viene sepolta viva; donne e bambini vengono annientati in massa.
Il silenzio della sinistra mondiale, dei democratici e dei difensori dei diritti umani è destinato a rimanere uno dei più gravi documenti di vergogna della nostra epoca. Non si tratta di Palestina. Non vengono varati convogli di soccorso via mare né autobus umanitari per il Sudan. Perché il Sudan non è un “paese democratico”. Perché chi muore lì non conta per la vetrina della politica globale. L’ipocrisia morale dell’ordine mondiale si erige ancora una volta sul sangue degli oppressi.
Quello che accade oggi in Sudan è un esame di coscienza per l’umanità. Questa ferocia non può essere spiegata come una guerra interna, come un “conflitto locale” o come una semplice lotta di potere. Si tratta di un processo organizzato di annientamento. Come a Dersim, come ad Ağrı, una collettività viene presa di mira per la sua identità, lingua, origine o condizione e si cerca di cancellarla dalla mappa. Ogni casa bruciata in Sudan non è soltanto una ferita per l’Africa, ma una nuova lacerazione nel cuore dell’umanità.
Non possiamo più limitarci alla diplomazia, alle dichiarazioni o alle condanne formali. Il massacro in Sudan è una questione comune non solo ai sudanesi, ma all’intera umanità. L’unica via per fermare questa barbarie è un intervento esterno efficace e deciso. La comunità internazionale deve agire: aprire corridoi umanitari, proteggere la popolazione civile e impedire la prosecuzione del massacro con misure sia politiche che, se necessario, militari.
Rimanere in silenzio significa diventare complici. Se il mondo dovesse ripetere ancora una volta il silenzio osservato a Dersim, Koçgiri e Ağrı, non verrà spazzato via soltanto un popolo, ma l’umanità intera. Il Sudan sta bruciando e se non si agisce ora, questo fuoco ricadrà su tutti noi.