Aggiornato il 14/10/25 at 06:44 pm
di Shorsh Surme –——Con una mossa che rappresenta un cambiamento significativo nella politica israeliana, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta lavorando per riposizionare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a livello nazionale e internazionale, secondo Nidal Kanaaneh, redattore per gli affari israeliani per giornale Al-Watan.
Questa strategia arriva in un momento delicato, in cui Trump cerca di avvicinare Netanyahu al centro e al blocco moderato dell’opposizione, e di allontanarlo da leader di estrema destra come Itamar Ben-Gvir e Bezal Smotrich, che l’amministrazione statunitense considera inadatti alla nuova fase, che richiede il rafforzamento dell’immagine di Israele nella comunità internazionale.
Nidal Kanaaneh ritiene che l’obiettivo primario di questa mossa non sia semplicemente un aggiustamento tattico interno, ma piuttosto parte di un piano strategico più ampio volto a rafforzare la posizione di Israele nei forum internazionali e a migliorare le sue relazioni con i paesi occidentali e il settore moderato all’interno di Israele. Questi sforzi si inseriscono nel contesto dei recenti conflitti a Gaza, che hanno rivelato la fragilità delle alleanze interne e regionali di Israele e l’importanza di gestire l’immagine di Israele nella comunità internazionale.
Tra le opzioni sul tavolo c’è la possibilità di concedere a Netanyahu una grazia generale, in conformità con un noto precedente legale israeliano, che consente al presidente di graziare gli imputati prima dell’emissione del verdetto, se ciò è utile per la sicurezza nazionale.
Questa misura, se attuata, potrebbe fornire a Netanyahu un maggiore spazio politico per posizionarsi, libero dalle pressioni legali che attualmente subisce, e aumentare la sua popolarità tra ampi segmenti dell’opinione pubblica israeliana.
A livello regionale la questione di Gaza rimane un punto focale delle sfide future, in particolare per quanto riguarda il processo di ricostruzione. Questa rimane infatti complicata, poiché i paesi arabi si rifiutano di partecipare finché Hamas manterrà le sue armi.
Il rifiuto del movimento di disarmarsi porterà probabilmente a nuovi scontri, nonostante la maggior parte della popolazione della Striscia di Gaza desideri tornare alla normalità, rendendo la fase successiva delicata dal punto di vista politico e di sicurezza.
In questo contesto è bene sottolineare che la ricostruzione di Gaza non è semplicemente un’operazione umanitaria o uno sforzo volontario, ma piuttosto un “impegno politico per eccellenza”.
La distruzione di una città enorme, con circa 50 milioni di tonnellate di macerie, l’84% del patrimonio edilizio danneggiato e circa 17mila unità abitative completamente distrutte, porta il costo iniziale della ricostruzione a non meno di 20 miliardi di dollari.
Tutti sono concordi che la ricostruzione deve includere la ricostruzione della società palestinese su basi produttive sostenibili, inclusi investimenti in industrie, fabbriche e turismo, e la creazione di meccanismi che consentano ai residenti di diventare economicamente autosufficienti.
E’ il compito di Israele di completare i progetti di ricostruzione attraverso una rete di partner regionali e internazionali, con le principali aziende, comprese quelle legate alla Casa Bianca, che svolgono un ruolo di primo piano nell’assicurare la “parte del leone” dei progetti.