Il Prezzo dell’Identità Etnica: Il Silenzio dei Massacri e il Crollo della Moralità

Aggiornato il 02/07/25 at 04:03 pm

di Hüsamettin TURAN…………Il popolo curdo, dall’inizio del ventesimo secolo fino ad oggi, è stato sistematicamente sottoposto a politiche di sterminio, negazione e assimilazione mirate alla sua identità etnica. La forma più brutale di queste politiche è stata la soppressione del diritto alla vita attraverso massacri di massa. Le esecuzioni collettive seguite alla rivolta di Şeyh Said, il genocidio di Dersim del 1937-38, la campagna genocida di Enfal condotta dal regime di Saddam Hussein e il massacro di Roboski del 2011 compiuto dai jet militari turchi sono gli anelli principali di questa catena. Questi eventi non sono semplici operazioni militari o questioni di sicurezza: sono crimini contro l’umanità, atti deliberati per zittire, sottomettere e cancellare un intero popolo dalla storia.
La rivolta del 1925 guidata da Şeyh Said fu la prima grande espressione della resistenza curda contro le politiche oppressive trasferite dall’Impero Ottomano alla Repubblica turca. Ma invece di essere riconosciuta come un movimento popolare, fu etichettata come “ribellione religiosa” e repressa con ferocia. Centinaia di villaggi furono bruciati, migliaia di persone giustiziate o deportate. Nella memoria collettiva curda, questa rivolta non è solo una ribellione soffocata, ma l’atto fondativo della violenza del regime del diniego.
Il genocidio di Dersim del 1937-38 mirava invece all’eliminazione sistematica di una comunità etnica e religiosa. Perfino nei documenti ufficiali dello Stato turco, l’operazione è definita “pulizia”. Decine di migliaia di curdi aleviti – donne, bambini, anziani – furono brutalmente massacrati. Le persone rifugiatesi nelle grotte furono bruciate vive dai bombardamenti aerei. Non furono presi di mira solo i corpi, ma anche le lingue, le tombe, le credenze. I bambini superstiti furono strappati alle famiglie e affidati a famiglie di militari turchi. Non si trattò solo di un massacro, ma di un vero e proprio genocidio culturale.

Nel 1988, la campagna di Enfal condotta dal regime di Saddam Hussein nel Kurdistan iracheno è uno dei più gravi genocidi dell’epoca moderna contro il popolo curdo. Con attacchi chimici, in particolare a Halabja, centinaia di villaggi furono rasi al suolo. Più di 180.000 civili curdi – inclusi donne e bambini – furono sistematicamente uccisi. Le fosse comuni vennero scoperte solo anni dopo. Né il mondo arabo né l’Occidente reagirono con decisione: per convenienze geopolitiche, si voltò lo sguardo. Sebbene oggi i documenti internazionali confermino l’entità del genocidio, molti dei responsabili non hanno ancora pagato.
Più recentemente, il 28 dicembre 2011, il bombardamento aereo effettuato dai jet turchi sul villaggio di Uludere (Roboski), nella provincia di Şırnak, ha mostrato ancora una volta quanto poco valore abbia la vita di un curdo agli occhi dello Stato turco. Trentaquattro civili curdi – tra cui bambini – conosciuti da tutta la comunità locale per svolgere attività di contrabbando, furono massacrati nella notte. Dopo l’attacco, invece di un’ammissione di colpa, lo Stato parlò di “errore d’intelligence”, e l’opinione pubblica fu presa in giro. Nessuno fu processato, né fu fatta giustizia. Roboski ha dimostrato, ancora una volta, il disprezzo sistemico per la vita curda.
Il tratto comune di tutti questi eventi è il silenzio della comunità internazionale e la sfrontatezza dei governi locali. Mentre i curdi venivano massacrati, il mondo preferiva i propri interessi ai valori umani. I paesi occidentali, che non smettono mai di parlare di “democrazia”, “pace” e “diritti umani”, sono stati complici diretti o silenziosi in ogni massacro.
Oggi questo stato di silenzio persiste, e rappresenta la forma più insidiosa e pericolosa di complicità. Ogni crimine il cui responsabile viene protetto dal silenzio apre la strada a nuovi crimini. Cercare di “educare” un popolo oppresso dall’alto, senza riconoscerne la sovranità, significa legittimare la violenza. Questo popolo non è stato solo massacrato, ma gli è stato anche detto come deve vivere il proprio lutto. I suoi dolori sono stati strumentalizzati, la sua identità messa sul tavolo delle trattative, i suoi morti trasformati in materiale di propaganda.
Chi predica ai curdi moralità, religione o educazione deve prima confrontarsi con la propria storia. Il problema non è solo la mancanza di moralità individuale, ma un degrado politico organizzato. Questo degrado ha non solo demonizzato i curdi, ma anche eroso profondamente i valori universali dell’umanità. In un contesto dove la coscienza, la legge e la giustizia sono corrotte, la pace e la verità possono nascere solo da una memoria storica forte e da un confronto coraggioso con il passato.
Oggi, mentre i curdi continuano ad essere presi di mira per la loro lingua, identità e fede, il silenzio di chi parla di diritti umani è non solo ipocrisia, ma complicità attiva. Prima di dare lezioni ai popoli oppressi, bisogna spiegare perché per anni si è sostenuto chi li ha massacrati. Che si tratti di armi, di legittimità diplomatica o di silenzi strategici, il risultato non cambia: i curdi sono stati massacrati, e il mondo ha taciuto.
Ecco perché nessuno si azzardi più a dare lezioni di morale, religione o comportamento ai curdi. Perché questo popolo, pur avendo subito le peggiori atrocità, ha conservato dignità, resistenza e amore per la verità. La vera lezione di umanità è nascosta nella memoria profonda e silenziosa di un popolo che continua a gridare nonostante tutto.