TURCHIA. IL TERREMOTO COME STRUMENTO DI GENOCIDIO

Aggiornato il 23/02/23 at 08:34 pm

di Laura Schrader——Soltanto lo tsunami che anni fa aveva devastato le coste in Oriente può essere paragonato al terremoto che ha sconvolto il sud della Turchia (Bakur, il Nord per i kurdi) e il Nord della Siria (Rojava, l’Ovest del Kurdistan). Di fronte al disastro provocato dalle prime scosse di magnitudo 7.8 con epicentro a Gaziantep e dalle molte altre di assestamento successivo, il dolore per le migliaia di vittime (41 mila nell’ottavo giorno dalla tragedia) si mescola a sdegno e rabbia per il comportamento di Ankara.
I Vigili del Fuoco di Valladolid, parte del team inviato dalla Spagna, denunciano la loro frustrazione. Erano dislocati a Adyaman e di fatto non hanno potuto portare soccorso: le autorità turche hanno ordinato la demolizione di interi edifici in cui si sapeva esserci centinaia di residenti tra i quali molti potevano essere salvati. “In un palazzo – affermano – era certa la presenza di 180 persone. Soltanto 10 sono state portate in salvo”.
Nell’era dell’immagine e della comunicazione a nulla valgono i comunicati auto-celebrativi del presidente Erdogan. Tutto è di una terribile evidenza. Per giorni abbiamo visto uomini, donne, ragazzi scavare a mani nude tra le macerie. Amiche e amici kurdi ci fanno sapere che i superstiti noleggiano a proprie spese, dove è possibile, gli attrezzi per rimuovere le montagne di detriti. Ci fanno sapere che nonostante la carenza di soccorsi ufficiali questi interventi sono stati vietati dall’ Autorità competente per il terremoto, uccidendo le speranze di vita. Ci fanno sapere che i sopravvissuti non possono tornare a casa, se la casa c’è ancora, perché le scosse si susseguono, e tutti – vecchi, malati, bambini – affrontano in mezzo alla strada le temperature sottozero, a volte le nevicate. Anche il freddo uccide.
Bombe sul Rojava nell’emergenza del terremoto
Prima che male e debolmente si muovesse il soccorso turco, immediata è stata la proclamazione dello stato di emergenza in dieci provincie del Kurdistan e la conseguente militarizzazione del territorio che consente all’esercito di fermare i convogli umanitari in arrivo da associazioni turche e di molti Paesi di tutto il mondo e l’arresto di giornalisti, pericolosi testimoni di una situazione inconcepibile. Il tardivo e modestissimo intervento turco ha utilizzato le ruspe, mentre i sopravvissuti chiedevano di scavare là dove c’erano segni di vita: “Vogliono lasciarli morire” dicevano disperati coloro che assistevano a queste operazione inumane.
Investito da un’ondata di proteste il presidente turco Erdogan giustifica i ritardi e l’inadeguatezza dei soccorsi con il pretesto del pericolo del “terrorismo”. Per Erdogan ormai basta essere kurdi per rientrare tra i “terroristi” del Pkk. Il Pkk le cui forze si trovano in Irak, oltre il confine turco, e che resiste alla politica di genocidio di Ankara, ha immediatamente indetto un cessate il fuoco unilaterale. I kurdi siriani, che con le unità Ypg e Ypj, alleate della coalizione occidentale, hanno vinto l’Isis e che si autogovernano nel Rojava, sono costantemente aggrediti dall’aviazione turca e minacciati di invasione pur non avendo mai compiuto alcuna ostilità nei confronti di Ankara. Pare incredibile, ma nel terzo giorno post-terremoto la Turchia bombardava l’area di Tel Rifaat continuando le operazioni di genocidio già tragicamente compiute nel cantone di Afrin. L’intento è di eliminare la popolazione del Rojava, secondo un piano ampliamente spiegato al mondo intero dal presidente Erdogan in persona quando nel 2021 presentò all’Onu il suo progetto di sostituire la popolazione del Rojava – kurdi e minoranze etniche e religiose tra cui i cristiani, che pacificamente convivono – con profughi arabi siriani appartenenti alla galassia jihadista.
Sembra inconcepibile che in una tragedia immensa come quella del terremoto un governo adotti il criterio della discriminazione etnica nelle operazioni di soccorso. Ma purtroppo è quello che avviene. Tra gli esempi di soccorsi selettivi il KNK, Congresso Nazionale del Kurdistan, denuncia che la popolazione kurda di religione alevita, in maggioranza nella provincia di Maras e la popolazione araba maggioritaria nella provincia di Hatay, tra le più colpite dal sisma, sono state escluse dai soccorsi.
Politici e imprenditoria complici delle stragi
Tutto il mondo ha visto enormi edifici sbriciolarsi in un attimo come grissini. In una zona notoriamente ad elevato rischio sismico i palazzi residenziali vengono costruiti con materiali inqualificabili, perfino con la sabbia. Per salvare la faccia Ankara ha arrestato fino ad oggi 130 imprenditori edili. Ma – come rileva anche un comunicato dell’ Associazione degli avvocati turchi – le responsabilità sono in primo luogo della politica. Gli imprenditori criminali agirono grazie alle collusioni con la politica e al versamento di cospicue somme di denaro per evitare i controlli dovuti per legge. Dopo il terremoto del 1999 che devastò le coste del mare di Marmara da Izmir a Istanbul, Ankara si era dotata di leggi antisismiche che prevedono tra l’altro appositi stanziamenti finanziati anche da una “tassa per i terremoti”, ormai in vigore da 20 anni. Secondo le denunce di associazioni professionali e sindacali turche e dell’opposizione politica, i fondi furono in gran parte usati per alimentare i fondi privati collocati all’estero dal presidente Erdogan e dalla sua cerchia di fedelissimi.
Anche il terremoto dunque diventa strumento di genocidio nel quadro dell’ideologia islamo-fascista che connota i partiti AKP e MHP della coalizione di governo, tenuta insieme dalla volontà di eliminare la componente kurda, sia per convinzioni squisitamente razziste, sia perché considerata una minaccia politica, in quanto HDP, il partito filo-kurdo, aggrega le istanze democratiche della società civile turca.
Assordante il silenzio dell’Unione Europea e della Nato, che continuano a a riverire una tragica dittatura accettandone i disumani ricatti.