MENTRE I CURDI MUOIONO PER CONTRASTARE DAESH, L’OCCIDENTE CHE FA?

Aggiornato il 02/02/22 at 08:42 pm

di Gianni Sartori —— Mentre il bilancio delle vittime dell’attacco islamista del 20 gennaio alla prigione di Ghwayran diventa sempre più tragico, di ora in ora direi, sarebbe forse il caso che l’Occidente (in senso lato) si mettesse una mano sulla coscienza. Così come tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel contenzioso (eufemismo) che percorre il nord e l’est della Siria e i territori circostanti.

Oltre ai poveri curdi e alla Siria stessa, anche la Turchia, gli USA, la Russia, l’Iran…
E anche in Europa, domandarsi se qualche migliaio di jihadisti di nuovo in circolazione (questo era presumibilmente lo scopo dell’attacco al carcere), oltre a fornire manovalanza a basso costo al governo di Ankara, non avrebbero rappresentato una mina vagante per il vecchio continente.
Esprimendo perlomeno riconoscenza per coloro, i curdi ovviamente, che ieri (nel marzo 2019) avevano sconfitto gli ascari di Daesh in maniera quasi definitiva e ora hanno saputo rimetterli con le spalle al muro.
Come dice il buon Zaia: “Ragioniamoci sopra”.
Stando alle ultime informazioni fornite dall’Osservatorio dei Diritti dell’Uomo (OSDH), l’Isis avrebbe torturato, decapitato e infine dato alle fiamme decine di membri del personale penitenziario. Complessivamente nel corso dei combattimenti sarebbero morti in tutto 373 persone. Di cui 269 jihadisti, 98 militanti delle Forze democratiche siriane (FDS, la coalizione arabo-curda) e 7 civili (presumibilmente volontari che si erano aggregati alle FDS per contrastare l’Isis).
Un’ottantina delle vittime sarebbero membri delle Forze di sicurezza interna (Asayish), ma non è chiaro se siano stati registrati tra i caduti delle FDS.
Un bilancio purtroppo destinato ad aumentare in quanto molti militanti delle FDS risultano feriti gravemente. In ogni caso le verifiche sono in corso sia all’interno del carcere (dove molti corpi rimangono ammassati) che nei quartieri limitrofi dove i mercenari jihadisti si erano trincerati.
E prosegue anche l’indagine dell’AANES per individuare il punto debole, le eventuali complicità che hanno permesso all’Isis di attaccare e invadere la prigione.
Tra le misure urgenti per scongiurare ulteriori riesumazioni del Califfato, ogni Stato (e quelli europei in primis) dovrebbe riprendersi i propri jihadisti che si erano trasferiti in medio-oriente per arruolarsi nei ranghi dello “Stato islamico in Irak e nel Levante”.
Inoltre si dovrebbero allestire dei centri di riabilitazione per i “leoncini del califfato”, i bambini figli di jihadisti che andrebbero curati, rieducati in modo da impedire ulteriori rigurgiti jihadisti in futuro.
In qualche modo quello che seppero fare, egregiamente e anche grazie all’aiuto internazionale (della Svezia in particolare) i Sandinisti (quelli originari, non l’attuale dirigenza) con i ragazzini addestrati a compiere omicidi e torture dal regine di Somoza.
Inoltre il Consiglio di sicurezza dell’ONU non dovrebbe rinviare ulteriormente la costituzione di un tribunale della Corte penale internazionale per giudicare i prigionieri jihadisti (attualmente sotto il controllo delle FDS) per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.