Giovani, attivisti, classe media: chi scappa dal Kurdistan iracheno

Aggiornato il 27/11/21 at 06:49 pm

Chiara Cruciati (Il Manifesto) —-  Sono arrivati di notte, tra le 2 e le 6 di ieri, all’aeroporto di Erbil e a quello di Baghdad: 600 migranti, rimpatriati dalla Bielorussia dopo settimane di fame, gelo e pestaggi al confine con la Polonia. Seguono gli altri 400 riportati a casa il 18 novembre scorso. E altri ne torneranno: la Iraqi Airways ha già in programma il quarto e il quinto volo del mese, ci saliranno 850 persone.

Un totale di quasi duemila migranti, tutto organizzato dal governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) e da quello centrale iracheno, dopo svariati incontri diplomatici con Minsk e Varsavia e il blocco dei voli verso lo scalo bielorusso.

Il 20 novembre è stato il ministero degli esteri tedesco a congratularsi con il primo ministro del Krg, Masrour Barzani, per la pronta reazione. Due giorni dopo il ministro francese Le Drian ha fatto lo stesso.

FINISCE COSÌ il tentativo di fuga di tante famiglie, ognuna con una storia diversa, tutte con una spinta simile: scappare da condizioni di vita pessime, una crisi economica e politica che da anni ha fatto sprofondare l’Iraq in una povertà strutturale. Si stima che circa 4mila dei migranti bloccati al confine tra Polonia e Bielorussia siano iracheni, il 95% curdi. Picchiati, assiderati, affamati.

Chi torna a Erbil e a Suleymaniya poi, ad «accoglierli» trova le crescenti tensioni nelle piazze: a protestare da giorni ormai sono gli universitari, soffocati da tasse troppo alte e dal taglio, vecchio ormai di sette anni, del già misero contributo mensile governativo (tra 40 e 66 dollari).

Martedì un gruppo di manifestanti ha dato alle fiamme una delle sedi del Puk, il partito del clan Talabani, leader incontrastato dell’est del Kurdistan iracheno. La polizia ha aperto il fuoco, sparando in aria per disperdere gli studenti. Per il resto si affida ai gas lacrimogeni (decine i feriti) e ai blocchi stradali.

NELLA DISEGUAGLIANZA strutturale della società curdo-irachena sta la necessità impellente di fuga. «La maggioranza è arrivata in Bielorussia legalmente – ci spiega il giornalista curdo-iracheno Kamal Chomani – Ad agosto Minsk ha facilitato l’ottenimento dei visti. Agenzie di viaggio a Erbil e Baghdad hanno offerto pacchetti turismo, all’inizio a circa mille dollari, poi fino a 4mila».

Forniscono tutto: visto, qualche notte in hotel e il volo «per Minsk attraverso Istanbul, Il Cairo o Mosca. La Bielorussia ha attirato i migranti per destabilizzare il confine e giungere a un accordo simile a quello che la Ue ha siglato con la Turchia».

Parlando con Shafaq News, un’agenzia di viaggi Baghdad ha negato: «I migranti che volevano raggiungere la Germania sono stati organizzati da trafficanti in cambio di tanti soldi». Ma tante altre agenzie dicono di aver venduto una media di cento pacchetti per Minsk a settimana.

«Chi parte? – continua Chomani – Ci sono giovani senza lavoro, finanziati dalla famiglia per partire. Molti hanno un’alta educazione. Altri sono attivisti, giornalisti, accademici. Ci sono poi famiglie della classe media, che hanno lavoro e denaro. Ma la maggior parte ha investito tutto quello che aveva: hanno venduto la casa, la macchina o la terra».

«Ma, se uno dei motivi dell’emigrazione è quello economico, dal Kurdistan iracheno si parte soprattutto per ragioni politiche. La situazione socio-economica è collegata al sistema politico. Senza un cambiamento del sistema politico è impossibile immaginare un cambiamento del paradigma economico. La diseguaglianza è enorme: un 5% della popolazione, i padroni, ha creato un’economia clientelare e patriarcale e ha monopolizzato le risorse del paese; il 95%, le masse, non ha mezzi per vivere dignitosamente».

UNA REALTÀ FISICA: l’élite vive fuori dalle città, in villaggi isolati e irraggiungibili, tra loro le famiglie di «governo», i Barzani e i Talabani: «Vanno nelle scuole e le università private, studiano all’estero – aggiunge Chomani – mentre gli studenti sono in piazza perché non riescono a pagarsi nemmeno l’università pubblica, non hanno sussidi né borse di studio. I Talabani e i Barzani hanno privatizzato e occupato il settore pubblico. Vivere così è difficilissimo. In qualche modo, è una lotta di classe tra un’élite e una maggioranza espulsa dalla vita sociale».

Dopo le grandi migrazioni del 1991, negli anni 2000 molti erano tornati. Ora si fugge di nuovo da corruzione, miseria e da quel modello-Dubai che ha trasfigurato Erbil, cancellando il welfare simil-socialista di trent’anni fa a favore di un liberismo sempre più selvaggio.