LE ORGANIZZAZIONI CURDE (KNK, HDP, PKK) INTERVENGONO SULLA CRISI UMANITARIA ALLA FRONTIERA POLACCA

Aggiornato il 13/11/21 at 05:36 pm

di Gianni Sartori —- Da giorni circa tremila rifugiati che – invano – cercavano di entrare in Europa attraverso la Polonia, rimangono bloccati alla frontiera, nella foresta.

Molti di quei disperati (in gran parte donne e bambini) sono curdi che provengono dalla regione autonoma dell’Iraq e dal nord della Siria. Ossia da territori sottoposti, se pur in maniera diversa, agli attacchi di Ankara.

Abbandonati da entrambi gli Stati confinanti, sarebbero già una ventina quelli morti di ipotermia, fame o disidratazione. Una dozzina quelli desaparecidos.

Sulla questione è intervenuto il Congresso nazionale del Kurdistan. Rivolgendosi all’Unione europea, il KNK ha definito “disumano e inammissibile” il modo in cui Polonia e Bielorussia trattano i migranti. Con un appello non solo all’Ue ma anche a “tutti i cittadini europei dotati di coscienza” a non restare in silenzio e a trovare una soluzione.

Denunciando inoltre come Erdogan, Lukachenko e Putin stiano “utilizzando i rifugiati come un’arma politica”.

Evidentemente l’astuto presidente turco (che in questi anni aveva già sperimentato l’utilizzo dei migranti come strumento di pressione nei confronti della Ue) ha fatto scuola.

Oggi il suo obiettivo, secondo il KNK, sarebbe quello di “cacciare i curdi dalle loro terre per modificarne la stessa demografia”. Sostituendo i curdi con popolazioni e organizzazioni sotto il suo controllo (turchi, turcomanni, addirittura palestinesi…).

Altro intervento da segnalare, quello del Partito democratico dei Popoli. A nome di HDP, Pervin Buldan e Mithat Sancar si sono rivolti a Josep Borrel (rappresentante dell’Ue per gli affari esteri) affinché, in nome del rispetto dei diritti umani, venga accantonata la soluzione del blocco militare e i rifugiati (tra cui oltre 500 bambini) vengano soccorsi e accolti.

Lo stesso appello è stato rivolto al Segretario generale e al Commissario ai diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa oltre che a varie organizzazioni onusiane.

I portavoce di HDP si son detti “profondamente rattristati dal dover vedere un governo europeo spianare le armi contro i rifugiati invece di distribuire cibo e coperte”.

Non si conosce ancora il tenore della risposta di Josep Borrel all’appello di HDP. In compenso in questi giorni il capo della diplomazia europea ha presentato ai 27 ambasciatori degli Stati membri quella che viene definita la “bussola strategica”. Un progetto che sta per essere esaminato a Bruxelles e che comporta la creazione entro un paio di anni di una forza europea di reazione rapida.

Da parte del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) un accorato invito, un’esortazione alla popolazione curda affinché non fugga dal Bashur (il Kurdistan del Sud, in territorio iracheno) autoesiliandosi. E una richiesta al governo regionale curdo, quella di metter in campo adeguate iniziative per garantire condizioni di vita dignitose alla popolazione. Come in Rojava (dove Ankara sta operando con metodi che ricordano la pulizia etnica), così in Bashur un drastico cambiamento demografico (ossia la sostituzione della popolazione originaria curda) non farebbe altro che gli interessi della Turchia.

Calcolando che almeno 30mila persone hanno lasciato il Bashur in un solo anno, la Commissione Esteri del PKK ha esplicitamente accusato il governo turco e quello della regione autonoma (in pratica il PDK) di esserne responsabili.

Sia del massiccio esodo e spopolamento che della tragedia in corso sulla frontiera tra Polonia e Bielorussia.

Una tragedia legata alla crisi economica, alla disoccupazione, alla disperazione diffusa. Conseguenza dei “30 anni di politiche attuate dalle autorità del Kurdistan del Sud e dai paesi occupanti”. Dalla Turchia in particolare.

Con il rischio che questa parte del Kurdistan divenga “una zona di espansione per il nazionalismo fascista turco e per l’ideologia dell’islamismo radicale”.

Per questo il PKK chiama la popolazione curda e i giovani in particolare a “non abbandonare il Paese utilizzando la propria forza nella lotta per la giustizia, la democrazia e la libertà”.