L’APPELLO DI AYMAN, GIOVANE YAZIDA SEGNATO DALLA VIOLENZA DELL’ISIS

Aggiornato il 15/05/20 at 10:31 pm

di Rossella Assanti —–  Ayman è un ragazzo di 17 anni sopravvissuto all’Isis. Vive a Shingal (Sinjar), città martoriata da Daesh che porta ancora i segni del loro massacro compiuto contro gli yazidi nel 2014. Un massacro che ha fatto la storia marchiandola con il sangue di civili innocenti. Nel 2015 uno dei violenti attacchi rivendicati dallo Stato Islamico colpisce Ayman facendogli perdere un braccio e recando gravi danni ad entrambe le gambe. Fu quello l’inizio di una lunga tempesta. “Cinque anni fa è iniziato il mio inferno”, ci racconta Ayman, facendoci percepire quanto quell’inferno abbia davvero bruciato sulla sua pelle.

“Era il 2015, Shingal era ancora sotto il violento attacco dell’Isis che aveva portato solo morte e distruzione. Tornavamo da un villaggio e un ordigno mi ha colpito. Ho perso completamente un braccio e le mie gambe sono gravemente danneggiate. Ho ancora nelle arterie, nella carne delle mie gambe 50 schegge di quell’ordigno. Nessuno è in grado di aiutarmi. Sono cinque anni che vivo in queste condizioni. Cinque anni che il dolore a volte è così forte da non farmi dormire. Ogni tre ore prendo antidolorifici per riuscire a sopportare il dolore di queste gambe che mi limitano molto”.

Ha gli occhi di chi ha visto davvero la vita bruciare tra le fiamme di una becera violenza. Ha gli occhi di sogni spenti, come non li avevo mai visti prima. “Ho tre fratelli e tre sorelle – racconta ancora Ayman -, mio padre è gravemente malato, viviamo in uno stato estremo di povertà. Sono il più grande dei miei fratelli, dovrei andare a lavorare per poter aiutare la mia famiglia a vivere, ma come posso farlo con queste gambe e con un solo braccio? Ho chiesto aiuto ma nessuno sembra sentire questa richiesta, questo urlo. L’Isis mi ha distrutto la vita”.

E sono macerie e distruzione che si scorgono nei suoi occhi, ma anche un sorriso di chi non si è arreso. Oltre il dolore, la sofferenza, le macerie di una violenza che gli si è cucita sotto strati di pelle, Ayman è un ragazzo che non smette di sperare. Il suo vuole essere anche un appello, una richiesta d’aiuto. “I medici qui in Iraq mi hanno detto che l’intervento da fare è troppo complicato e non possono intervenire. Vorrei che una ONG, una qualsiasi associazione possa ascoltare la mia voce, la mia storia e aiutarmi. Le mie gambe sono lo scrigno di 50 schegge, con un dolore inimmaginabile. Non posso lavorare, dormire e fare in modo che la mia famiglia stia bene. In fondo chiedo solo che la mia storia venga vista, che si sappia quali sono i danni irreversibili della violenza”.

Danni che scavano in profondità, che fanno spegnere i sogni come fossero candele lasciate al gelo in una notte d’inverno. Ayman è sopravvissuto ad una violenza che non avrebbe mai dovuto vedere, aveva solo dodici anni. Infanzia rubata, deturpata, violata. Come quella di tanti suoi coetanei e tante ragazze. Ha visto la guerra eppure dopo cinque anni continua ad averla lì, addosso, nella sua carne, impossibile da sradicare. Ogni giorno il suo inferno personale bussa alla sua porta sotto forma di dolore. Ogni notte ha solo il sogno che quella sofferenza si dissolva come fosse possibile una magia. “Vivo in questa sofferenza da cinque anni, ma resto forte”, dice.

Avere nel corpo 50 schegge di un ordigno che ha fatto a pezzi la tua vita e quella di altre vittime innocenti è come avere una ferita che sanguina costantemente, un dolore che si ripresenta ogni giorno vivo, pulsante. Come fosse una guerra contro le speranze che provano a rifiorire. Ayman merita di rinascere, merita di sognare, di non sentire più un dolore lancinante penetrargli la carne. Ayman merita la vita che gli è stata fatta a pezzi, merita di ricostruirla, di tornare a fiorire e vedere sua madre sorridere senza più lacrime a rigarle il viso. Lacrime che raccontano più di ogni parola, lacrime che urlano, che solcano il terreno a si diramano fino al cielo purché qualcuno ascolti.

Non chiedono nient’altro che una vita dignitosa, di poter ricominciare e lasciare che l’incubo generato dall’Isis si dissolva nella notte fino a diventare un ricordo normale, cicatrici ma non più ferite sanguinanti. Certe storie hanno la voce flebile di un timido ragazzo, gli occhi bassi, tristi, ma hanno la forza dell’estate per poter rinascere se solo le si aiuta a rifiorire.

Fonte: Rossella Assanti -ilmegafono.org

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