Nell’Iran di Ahmadinejad i giornalisti sono ladri, farabutti e nemici di Allah e vanno condannati a morte

Aggiornato il 04/05/18 at 07:52 pm


di Ahmad Rafat*

Ho scoperto di essere un “ladro” e un “farabutto”. Qualche giorno fa  mi avevano definito un “mohareb” (nemico di dio) e avevano chiesto la mia condanna a morte. Io ho il difetto di essere un giornalista e un iraniano. Mohammad Ali Ramin, vice ministro per la Cultura e l’Orientamento Islamico, con delega per la stampa, ha dichiarato che “tutti i giornalisti, attualmente agli arresti, in realtà sono dei ladri e farabutti”. Il professor Ramin, da studente in Germania era iscritto a un gruppo neonazista, ed è l’uomo che suggerì a Mahmoud Ahmadineajd di negare l’Olocausto.
Qualche giorno prima, 36 deputati del Majlis (il parlamento islamico), tutti sostenitori del presidente Ahmadinejad, avevano presentato un disegno di legge che prevede la riduzione da 20 a cinque giorni del tempo che dovrebbe passare dalla condanna definitiva di un “mohareb” all’esecuzione della sentenza.
Nello stesso giorno, l’Autorità Giudiziaria ha elencato 61 organizzazioni non governative straniere e organi di stampa internazionali, come enti sovversivi. Tra questi, Human Right Watch, nota organizzazione americana che si occupa di diritti umani, l’Università di Yale, la fondazione Open Society del magnate Georgeo Soros, l’emittente britannica BBC e quella nordamericana Voice of America.
Io, giornalista, e pertanto ladro e farabutto, scrivo per il sito della Human Right Watch, ho collaborato ad alcuni progetti dell’Open Society, sono commentatore per ii programmi in lingua spagnola della BBC, e infine corrispondente in Italia della Voice of America.
All’inizio del 2010, sempre l’Autorità Giudiziaria della Repubblica Islamica, ha pubblicato una lunga lista di “reati” telematici. Secondo questa lista, chi scrive su Internet, ha  un sito o un blog, non può esprimere giudizi “contrari ai valori religiosi” e “offensivi nei confronti dell’islam”, non può  “insultare l’Imam Khomeini e l’Ayatollah Khamenei”, o prendere posizioni “ostili al governo e alla Costituzione”, e manifestare simpatia per “gruppi politici dell’opposizione”. Ammetto pubblicamente di avere un mio blog e un sito in fase di allestimento, di esprimere critiche a certi valori religiosi, di non condividere i contenuti della rivoluzione khomeinista, di considerare l’ayatollah Khamenei mandante di omicidi di oppositori, di ritenere illegittimo il governo presieduto da Mahmoud Ahmadinejad, di voler cambiare la Costituzione in vigore nella Repubblica Islamica, e di avere simpatie per tutti quei gruppi dell’opposizione che si battono per la libertà e la democrazia in Iran.
Dopo questa pubblica confessione, credo che se apparissi davanti ad una sezione del Tribunale della Rivoluzione, non sarei condannato, come il mio collega il giornalista Barman Armadi Amoui, a “soli” 7 anni di carcere e 34 frustate per aver partecipato a una manifestazione nel mese di luglio, ma sicuramente finirei su una forca come stabilisce la “legge”. In questi giorni il senatore Pietro Marcenaro, che presiede la Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione  dei Diritti Umani del Senato della Repubblica Italiana, si trova in visita privata in Iran. Spero, conoscendo e stimando il senatore Marcenaro, che al suo rientro in patria, e in occasione della prima riunione della Commissione che presiede, informerà i rappresentati del popolo italiano di quanto sta accadendo in Iran. Spero che riferirà come in queste ultime settimane, centinaia di giornalisti, studenti, femministe, e anche qualche madre che ha visto uccidere il proprio figlio durante le recenti manifestazioni,  sono stati arrestati. Le celle del famigerato carcere di Evin (a Teheran) sono talmente piene che hanno dovuto trasformare la biblioteca del carcere in cella, rinchiudendo gli ultimi arrestati nei pullman parcheggiati nel cortile della prigione. Spero, che i partiti politici italiani, di destra, di sinistra e di centro, come hanno già annunciato alcuni dei loro leader, si mobilitino a favore della lotta per la democrazia e per la libertà di un popolo che da 7 mesi, pacificamente e senza rispondere alle violenze subite, si presenta regolarmente nelle piazze al grido di “morte al dittatore” e “viva la democrazia”.
*(membro del comitato esecutivo di ISF) Fonte: ISF

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