Videozoom:Kurdistan Iraq. “Le piccole cose che contano di più”

Aggiornato il 03/05/18 at 04:39 pm


A cura di Rebeen Hamarafiq
Opere di Gaylan Abdullah, Sherko Abdulrazaq, Sherwan Can, Sherwan Fateh, Rebeen Hamarafiq, Poshya Kakil, Rozhgar Mustafa, Avan Omar……. Museo di Roma in Trastevere
Presentazione: 18 Marzo 2015 ore 18:00
Fino al 27 Marzo 2015
La videoarte sperimentale del Kurdistan Iraq visibile per la prima volta in Italia
Videozoom è un’iniziativa “in progress” che intende mostrare la video arte contemporanea in diverse realtà territoriali. Il progetto Videozoom: Kurdistan Iraq, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e al Turismo – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, sostenuto dall’Ambasciata della Repubblica d’Iraq a Roma e prodotto dall’Associazione Culturale Sala 1, sarà presentato il 18 Marzo nel Museo di Roma in Trastevere alla presenza dell’Ambasciatore Saywan Barzani e proseguirà fino al 27 Marzo 2015.
Si ringrazia Ali Assaf, Nicola Visconti e Walid Siti per la collaborazione.
A seguito della rivolta dell’Iraq in Kurdistan nel 1991, la nuova situazione venutasi a creare ha rappresentato per molti artisti il sogno di dare vita ad una produzione culturale puramente curda, prima di allora impensabile. C’erano però molti e vari ostacoli, dalla mancanza di tecnologie alla formazione degli artisti e al loro modo di pensare l’arte. La situazione riguardava la costruzione di un punto di vista limitato all’ambiente circostante gli artisti e a volte concentrato su sogni politici nazionali.
Ma alcuni altri progetti e opere d’arte iniziarono a guardare indietro e a mettere in discussione aspetti importanti come questioni sociali, ambientali o diversi altri argomenti che si generavano dai precedenti o, ancora, qualsiasi altra tematica che potesse influenzare la loro specifica identità.
Questi diversi progetti conducevano in direzione opposta, alla costruzione di una maggiore consapevolezza del proprio posto all’interno della società e a problemi universali in grado di coinvolgere tutti invece di utilizzare l’arte solo come una macchina di creazione di simboli nazionali.
 

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