Il milanese curdo che ha combattuto l’Isis

Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm


di Stefano Pasta

«L’Isis può essere sconfitto!», hanno esultato in tanti alla liberazione di Kobane, la città siriana divenuta il simbolo della resistenza curda all’Isis, dopo quattro mesi di battaglia. Ebbene, ad imbracciare le armi contro il Califfato ci sono…… anche giovani curdi nati e cresciuti in Europa, ma tornati a lottare per quella che considerano la loro patria. All’alba del 27 gennaio, in un agguato a Berbiroj, non lontano da Kobane, Governatorato di Aleppo, è morto il milanese Salman Talan, di 23 anni. Combatteva con il nome di Erdal Welat (“Erdal Terra mia”): sia Erdal che Salman sono nomi di “martiri” curdi di Pazarcik, la sua città di nascita in Turchia.
Quando Salman aveva quattro anni, la famiglia emigrò in Italia proprio per sfuggire ai problemi politici dei curdi. A Milano frequentò la scuola elementare, lemedie e un istituto tecnico; faticava a scuola e non finì le superiori, preferendo andare a lavorare in una fabbrica di scarpe in provincia di Novara. Passioni: il calcio, come tutti i suoi coetanei, ma intanto iniziava a informarsi sul Web e tra i membri della comunità curda di ciò che accadeva nella sua terra, divisa tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. «Era molto legato a Milano – racconta Amara, una ragazza curda cresciuta insieme a lui – ma amava anche la sua patria; dell’Italia ammirava di potersi esprimere liberamente, senza nessuna discriminazione, cosa che invece non era possibile in Turchia».
A 18 anni, la svolta: Salman se ne va di casa, parte per il Nord Europa. Ai genitori, che erano contrari e che non si erano accorti di quanto si fosse avvicinato alla causa curda, lascia una lettera. «Nessuno mi ha obbligato – scrive – ma ho scelto questa strada per la libertà del mio popolo, perché la mia famiglia possa scrivere nella propria lingua in patria». Va nei paesi dove i curdi emigrati sono di più rispetto alla piccola presenza in Italia (6-7mila per l’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia): in Francia (250mila secondo la stessa fonte), Germania (950mila), Danimarca e Svezia, dove partecipa alla formazione e all’attivismo curdo, organizzando manifestazioni e scrivendo articoli.
L’ultima volta, i genitori l’hanno rivisto un anno fa: «Era passato a Milano a salutarli – racconta Amara – assicurando che avrebbe continuato a lottare dall’Europa, come giornalista. Poi una notte alle quattro ha ricevuto una telefonata; la mattina, ha detto che doveva partire per un colloquio importante in Danimarca».
Poco tempo dopo, la famiglia era stata informata dalla comunità curda che Salman stava combattendo in Siria, a Sengal, città liberata prima di Kobane ma circondata da villaggi in mano all’Isis. Lo avevano anche riconosciuto in un video.
«Sono molti i curdi – racconta Amara – che dall’Europa, soprattutto dai paesi nordici, sono partiti per la Siria. Una mia amica, appena diciottenne, sta combattendo a Kobane: è nata e cresciuta in Germania, ma sente forte l’amore per la patria». Varie le conferme: a settembre, Susanne Guven, presidente dell’Associazione nazionale curda in Svezia, stimava che circa duecento curdi-svedesi fossero partiti per combattere l’Isis nel solo mese di settembre, mentre la deputata danese di origine curda Ozlem Ceki parlava di non poche partenze dalla Danimarca; ad esempio, il trentenne Shaho Pirani, un master in antropologia e scienze politiche, arruolatosi a giugno dopo la caduta di Mosul.
Il milanese Salman combatteva con i soldati del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, nato in Turchia e famoso per il capo Ocalan; è una formazione diversa dai Peshmerga (quelli a cui a settembre l’Italia ha inviato le armi), formazione militare curda legata al Pdk, tradizionalmente filoamericano, che controlla il nord dell’Iraq e ha mandato degli uomini anche a Kobane. Al confine tra Siria e Turchia, il grosso dello sforzo contro l’Isis è però sostenuto dal Pkk e dal corrispondente siriano Ypg, che ha creato la zona autonoma del Rojava (Kurdistan occidentale), liberata dal Califfato, di cui spesso si parla per l’importante ruolo politico e militare delle donne (musulmane).
Vicino a Sengal, il 27 gennaio la milizia di Salman è stato bombardata: «Erano riusciti – racconta Amara – a liberare Berbiroj, ma l’Isis, prima di ritirarsi, ha lanciato bombe contro il villaggio». Il corpo – «ne hanno trovato solo metà» – è stato trasportato a Diyarbakir, capoluogo curdo in Turchia, ed è stato seppellito nella città natale. Nonostante da Milano e dall’Europa fossero venute oltre cento persone, a Pazarcik non è stato possibile neanche portarlo in moschea: il sindaco turco non ha dato il permesso e ha vietato il corteo funebre. Per i curdi Salman è un martire, ma per la Turchia un terrorista (come tutti i combattenti curdi).
È il motivo della freddezza di Erdogan dopo la liberazione di Kobane: il premier di Ankara, che teme l’indipendentismo dei curdi nella regione, non ha mai ceduto alle pressioni Usa e non ha concesso l’uso della base Nato di Incirlik ai caccia americani che colpiscono l’Isis. Quando ad ottobre i curdi hanno protestato, le manifestazioni sono state represse con 40 morti.
«Chi sta morendo per frenare l’avanzata dell’Isis – dice Amara – sono persone del nostro popolo, considerate terroriste solo a pochi chilometri oltrefrontiera». Ecco, la vicenda del giovane curdo-milanese rivela una delle tante sfaccettature di quello che sta succedendo a Kobane e dintorni: esultiamo perché i terroristi dell’Isis vengono battuti sul campo da quelli che, allo stesso tempo, consideriamo altri “terroristi”. Sì, il Pkk di Salman dal 1997 è incluso tra le formazioni terroriste dal Dipartimento di Stato americano e dal 2002 nella lista corrispettiva dell’Unione Europea.
http://lacittanuova.milano.corriere.it/2015/02/11/il-milanese-salman-e-morto-in-siria/#more-16294
 

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