L’iniziativa “Rojava Calling!”, aperitivo benefit per i profughi di Kobanê e Şengal perseguitati dall’Isis

Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm


Sabato presso la sede del Collettivo Exit in via Mariano Sante 37, alle ore 19.30, è in programma una raccolta fondi da inviare in Rojava per sostenere i profughi e alleviare le condizioni nei campi dove sono stati accolti……. Nel corso della serata saranno proiettati video riguardanti la situazione in cui versa il territorio e la resistenza dei combattenti dell’YPJ/YPG, e ci sarà l’opportunità di ascoltare in videoconferenza un membro della staffetta romana in partenza per Kobanê. «Una delegazione di compagni e compagne decisi a portare solidarietà e sostegno alla resistenza kurda in loco. Perché il Rojava non è solo una terra dai confini incerti e, citando i compagni di Rojava Calling, “perché il Rojava non è un’idea, ma la costruzione concreta di un altro mondo», spiega Francesco Caputo del Colettivo Exit.
«È difficile capire per intero – continua Caputo – la portata degli avvenimenti che, nel silenzio generale dei media mainstream, stanno avvenendo da due anni a questa parte nel Kurdistan siriano e nei territori limitrofi. Un fazzoletto di terra stritolato tra gli obiettivi geopolitici delle grandi potenze, una guerra civile straziante che da anni oramai insanguina il territorio siriano e l’avanzata quasi inarrestabile delle forze reazionarie islamiste dell’ISIS. Un fazzoletto di terra che in altre circostanze non avrebbe avuto alcuna speranza; il Rojava non poteva che essere destinato a trasformarsi in un cumulo di macerie tra l’indifferenza generale».
«Ma spesso la storia riserva sorprese insperate. Pochi sanno – continua Caputo – che in questi anni, mentre il conflitto siriano maturava verso il suo aberrante compimento, mentre la barbarie dell’Isis veniva foraggiata e si apprestava a dilagare nel caos creato ad arte per il controllo di quel territorio cruciale per gli interessi geopolitici di Stati uniti ed alleati, le comunità multietniche del Rojava nel Kurdistan occidentale si organizzavano in forme politiche del tutto nuove e assolutamente inedite nella ragione».
«Kurdi, turchi, armeni, la popolazione nel suo intero sperimentava forme di autorganizzazione radicali, fondate sul mutualismo municipalistico, sulla partecipazione politica di tutti, comprese le donne, sulla redistribuzione della ricchezza; forme di autogestione della vita pubblica e politica espresse così nel documento che le comunità si sono date, la Carta del Rojava: “Noi, popoli delle Regioni Autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione, costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica”.Proprio le donne – spiega Caputo – rappresentano il fulcro centrale della vita politica e della lotta per l’autodeterminazione nel Kurdistan siriano».

«Non a caso il noto antropologo e attivista David Graeber ha messo in evidenza le analogie degli esperimenti autogestionari kurdi con quelli avvenuti negli anni ’30 durante la guerra civile spagnola: delle istanze di autogoverno e di antiautoritarismo che non potevano non cozzare con quello che si stava preparando nella regione. E quando lo scontro è diventato inevitabile, a difendere la popolazione civile del Rojava dai feroci assalti delle milizie islamiche non è stata una qualche potenza internazionale, ma le milizie autorganizzate dell’YPJ e dell’YPG(alleati del PKK ), che da mesi ormai difendono le città di Kobanê e Şengal strette tra l’avanzata dell’ISIS e i confini tenuti chiusi dalla Turchia che così facendo cerca di liquidare la questione curda in un sol colpo, negando protezione anche ai profughi civili che cercano di scappare dai teatri di guerra, e costretti a radunarsi in campi dove le condizioni di vita non possono che essere difficili».

«Crediamo che la lotta del Rojava sia importante e riguardi tutti: le pratiche di autodeterminazione che stavano fiorendo nelle libere municipalità, da cui non possiamo non trarre insegnamenti, non possono e non devono essere recise né dalle più oscurantiste istanze fascisteggianti dell’Isis, né dalle oscure manovre di controllo della regione o dalle schermaglie tra potenze occidentali e attori regionali. Crediamo sia necessario – conclude Caputo – che le voci provenienti da quel, per molti sconosciuto, territorio vengano ascoltate e raggiungano tutti».

fonte:Barletalive

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