I fiori di Kirkuk , la settima arte targata Kurdistan dell’Iraq

Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm


di Paolo Quaglia

Secondo film del regista curdo -Iraniano Fariborz Kamkari
Quanto mancano al cinema i romanzi di appendice; quelle vicende amorose a puntate che fino a metà del secolo scorso alimentavano la fantasia di prossime debuttanti vogliose di quell’amore che , per il momento, erano costrette a vivere per interposta persona. Spesso alcuni tentativi di portare sul grande schermo storie tormentate e un po’ noiose ci sono stati; uno su tutti riscontrabile nella tendenza ad estendere delle soap opera televisive e chiamarle film.
Ne “I fiori di Kirkuk” l’impronta del dramma strappalacrime è presente, ma la delicatezza della storia ovatta la noia, fino ad un certo punto. Iraq, anni Ottanta, in pieno regime Saddam Hussein: Najla (Morjana Alaoui) è una dottoressa costretta a scegliere tra i suoi sogni e il rispetto delle tradizioni cui è legata la sua famiglia. Dall’Italia, dove ha studiato, Najla decide di tornare a Kirkuk alla ricerca del fidanzato coinvolto nella resistenza. L’amore, il tradimento e il destino dei due uomini intenzionati a sposarla, Sherko (Ertem Eser) e Mokhtar (Mohamed Zouaoui), s’intrecciano nel racconto della sua vita, sullo sfondo di uno dei capitoli più brutali e inesplorati della storia dell’Iraq.
Il regista mescola il documentario storico al sentimento con una sapienza non indifferente, identificando il male assoluto nella forma di governo del suo paese di orgine. Cercando però di redimere una popolazione che è ancora in grado di emanciparsi dalla dittatura nei sentimenti amorosi, quelli che nessuna regola può inquadrare. Ottimamente recitato, ha il grande pregio di andare a ragionare su come, a volte, il tempo e il luogo in cui ognuno di noi si trova inserito , possa condizionare le nostre scelte di vita.
In Concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2010. Secondo film del regista iraniano residente in Italia Fariborz Kamkari, tratto dal suo romanzo omonimo . Il film è la prima coproduzione internazionale girata in Iraq dall’inizio della guerra nel 2003. Con il patrocinio di Università di Roma “La Sapienza”, Ministero della Cultura dell’Iraq, Ministero degli Esteri Italiano un film in arabo, curdo e italiano diretto da Fariborz Kamkari.
E’ interessante costatare come a prescindere da una situazione di estremo disagio si possa ancora pensare, realizzare e fare cinema. La narrazione cinematografica racchiude una capacità enorme di esorcizzare demoni che non possono essere compresi a pieno da chi non ha vissuto una situazione al limite dell’umano. Salutiamo con piacere quello che potrebbe essere il capostipite di un nuovo neorealismo iracheno. Dalla semplice costruzione dei dialoghi si percepisce un vissuto. Il senso muscolare della vicenda non è pervaso dalla tristezza e dal dolore a prescindere; è intriso altresi’ di coraggio e personalità caratteristiche essenziali della rinascita di una popolazione. Se è vero che dal dolore nasce la creatività più alta , questo film ne è un esempio.

 

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