Le ferite di Halabja

Aggiornato il 16/03/19 at 05:27 pm

di Shorsh Surme — La popolazione curda ricorda oggi il 31° anniversario dal bombardamento con armi chimiche sulla città di Halabja, nel Kurdistan dell’Iraq, da parte del regime di Saddam. I morti furono 7 mila e i feriti più di 100 mila. Molti di questi vennero abbattuti come animali dalle squadre della morte capeggiate dal criminale Ali “Il Chimico”, cugino di Saddam Hussein, per nascondere ogni traccia di questo massacro.
Il 16 marzo 1988 era un pomeriggio tranquillo, la cittadina era quasi interamente coperta dal verde, quando i bombardieri iracheni invasero il cielo di Halabja, città di 70mila abitanti della provincia di Suleymania, nel Kurdistan iracheno, a pochi chilometri dalla frontiera iraniana, ora diventato provincia.
Il giorno precedente, la città era caduta nelle mani dei partigiani dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) di Jalal Talabani. Abituata alle alterne offensive e controffensive nel conflitto Iraq-Iran che allora devastavano la regione fin dal settembre del 1981, la popolazione credette sulle prime che si trattasse di una classica operazione di rappresaglia. Chi fece in tempo si mise al riparo in rifugi di fortuna. Gli altri vennero sorpresi da bombe chimiche che a ondate successive Mirage e Mig iracheni rovesceranno loro addosso.
Un odore nauseante di mele imputridite riempì Halabja. Al calar della notte le incursioni aeree cessarono e cominciò a piovere. Poiché le truppe irachene avevano distrutto la centrale elettrica, gli abitanti partirono alla ricerca dei loro morti nel fango, alla luce delle torce. L’indomani, si trovarono di fronte a uno spettacolo spaventoso: strade lastricate di cadaveri, persone sorprese dalla morte chimica nei loro gesti quotidiani: bambini tenuti per mano dal padre, neonati ancora attaccati al seno materno, gli anziani che cercavano di passare una giornata serena e i malati che speravano di guarire. In poche ore si ebbero avuti 5mila morti di cui 3.200 vennero poi tumulati in una fossa comune perché nessuno ha potette reclamarli: i familiari erano tutti morti.
Le immagini di questo massacro fecero il giro del mondo grazie a corrispondenti di guerra iraniani e la stampa internazionale che si recò sul posto e diede un certo spazio a questo avvenimento senza precedenti.
Il fatto è che l’uso di armi chimiche è formalmente proibito dalla convenzione di Ginevra. Dal 1925 soltanto l’Italia di Mussolini ha infranto questo divieto, nella guerra d’Abissinia. Ma stavolta fu contro il suo stesso popolo che uno stato usò i gas chimici. Allora l’occidente, che considerava Saddam un’alleato ma soprattutto il paladino della libertà contro l’espansionismo Khominista nel Golfo Persico, si limitò a una timida protesta senza una condanna esplicita contro il regime dittatoriale iracheno.
Tutt’oggi, 30 anni dopo, la città di Halabja vive ancora con i terribili ricordi di quella tragedia, nel territorio della città non cresce più un filo di erba, le donne che erano state colpite con il gas non riescono avere più i figli e se possono averne nascono deformati.

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