Parla il nobel iraniano per la Pace Shirin Ebadi: «L’Occidente pensi ai diritti e non solo all’atomica»

Aggiornato il 03/05/18 at 04:37 pm


di Vittorio Carlini
«L’Occidente, l’Europa, l’Italia possono giocare un ruolo importante per un Iran più democratico. Ma ultimamente i vostri pensieri vanno solo al petrolio e alla minaccia nucleare. Dovreste, invece, concentrare gli sforzi sulla tutela dei diritti civili. In questi giorni una giovane donna, Zainab Jalajan, per il solo fatto di essere un’attivista politica, rischia la pena capitale. Ecco: scrivete di lei, non di petrolio». Shirin Ebadi parla con calma, senza tentennamenti. Il premio nobel per la pace iraniano, ospite a Genova per la Settimana internazionale dei diritti, guarda dritto negli occhi il suo interlocutore. Non in segno di sfida, tutt’altro (Guarda l’intervista in video).
Semplicemente, esprime le proprie idee con fermezza. Una forza conquistata, e messa a dura prova, in tanti anni di battaglie e di lotte per i diritti civili in Iran. A partire da quel lontano 1979, anno della rivoluzione islamica, quando fu costretta ad abbandonare l’incarico di giudice a Teheran solo perché donna. «Dopo la rivoluzione – ricorda – sono state approvate diverse leggi discriminatorie contro le donne: la loro vita, nei fatti, vale la metà di quella di un uomo. Se io e mio fratello, per esempio, siamo vittime di un incidente, il risarcimento riconosciuto a lui è il doppio; la testimonianza di due di noi, poi, è equiparata a quella di uno solo uomo; un uomo che può avere quattro mogli e ripudiarle quando vuole senza motivo».

Eppure, nelle manifestazioni contro la ri-elezione di Ahmadinejad abbiamo visto moltissime ragazze in prima fila. Immagini che hanno stupito molto in Occidente…
L’Iran è un paese dove oltre il 65% degli studenti sono donne con un’istruzione più elevata rispetto a quella dei ragazzi. Votiamo da più di 50 anni, da più tempo della Svizzera, e abbiamo 13 rappresentanti in parlamento. Non accettiamo le norme discriminatorie come non accettiamo l’attuale regime. Le donne sono scese in piazza con il movimento verde per lottare, e combatteranno sempre.

Subito dopo le elezioni, con i moti di piazza, il cambiamento sembrava a portata di mano. Poi, l’onda verde è un po’ scomparsa. Molti ricordano che Moussavi è stato primo ministro durante la terribile guerra con l’Iraq: lui rappresenta veramente il cambiamento?

Quello verde è un movimento popolare che non ha la struttura di un partito politico. Non c’è un capo che sta al di sopra di tutti, con gli altri che seguono le sue indicazioni. La sua vera forza consiste nell’essere un movimento, oserei dire, orizzontale. Una rete dove le decisioni vengono condivise e non calate dall’alto da pochi eletti. Moussavi, e lo stesso Karroubi, accompagnano l’onda verde e con la loro presenza lo rafforzano.

Ma non si tratta della reazione, come accaduto in passato, di elites universitarie urbane?
No, non è così. È un’opposizione trasversale. Hanno partecipato gli operai e molti di questi sono stati arrestati. Hanno partecipato gli insegnanti e molti sono stati arrestati. Hanno partecipato gli attivisti dei diritti civili e anche in questo caso diversi sono finiti in prigione. È la prova che ricondurre tutto a delle elites culturali è assolutamente riduttivo.

Diversi commentatori sostengono sia in atto uno scontro tra conservatori. Da un lato la classe dirigente di estrazione rivoluzionaria, permeata da esponenti del clero combattente, più pragmatica e votata alla moderazione; dall’altro le nuove leve, in gran parte reduci della guerra con l’Iraq, selezionate tra i Pasdaran e le milizie Basiji, che rappresentano l’ala intransigente del regime. È d’accordo con questa analisi?
In effetti lo scontro esiste, è in atto. Da una parte ci sono gli integralisti più duri; dall’altra chi teme, invece, che il continuo uso della violenza contro il popolo possa essere controproducente e causare, alla fine, la caduta stessa del regime. Una sorta di boomerang. Ma è difficile fare previsioni. Io, come qualsiasi altro iraniano, spero possa esserci un’evoluzione pacifica verso un Iran democratico. Ma è troppo presto per dirlo, non si può dire come andrà a finire.

Lo stesso mondo commerciale, anche a causa della recessione, sembra non allineato con l’attuale presidenza. Il bazar ha di recente indetto uno sciopero…
Sì ma è già finito. Magari ne faranno degli altri. Io, comunque, non penso che questo atteggiamento abbia un reale peso o sia determinante.

Il problema-Iran, secondo lei, può prescindere da Israele?
Tra i due paesi non c’è mai stato dialogo. Teheran non ha mai riconosciuto Gerusalemme. Ciò detto io credo che la questione fondamentale sia che i due governi devono cambiare il loro reciproco atteggiamento. Non è importante chi fa il primo passo. In diplomazia non è una gara a chi arriva prima e chi si muove per secondo. Essenziale è muoversi, andare avanti.

Lei teme un attacco militare al suo paese a causa del programma di armamento atomico?
Mi chiede se ho paura di un attacco da parte di Israele? Le rispondo di no. Come sono certa che l’Iran mai attaccherà Tel Aviv.

Di recente Washington ha inasprito le sanzioni economiche nel settore dell’energia e del petrolio. Cosa pensa dell’attuale amministrazione americana: il presidente Barack Obama può essere l’interlocutore per arrivare ad un Iran con più diritti?
Io credo che Obama, come tutti i capi di stato, pensi prima di tutto agli interessi del proprio paese. Il vero problema è un altro: in Iran non c’è un regime democratico. È questo il nostro dramma ma lo dobbiamo risolvere noi iraniani. Nessuno può farlo al nostro posto.

Una domanda al giudice, all’avvocato dei diritti umani: quanto conta la mobilitazione della società civile internazionale, della gente semplice, in favore della vostra causa? Più della diplomazia internazionale?
È fondamentale. I giornali, i media debbono parlare dell’Iran. Dovete divulgare le notizie sui limiti alle libertà. La società civile, in generale, è essenziale. Penso, per esempio, al mondo degli universitari: gli studenti possono aiutare addirittura di più dei politici.

Cosa si sente di dire al lettore italiano di questa intervista?
Quello che è accaduto dopo le elezioni ha mostrato con forza che noi non siamo il governo; non giudicateci con le azioni politiche di questo esecutivo; la gente, il popolo sono una cosa diversa. Conosceteci per quello che siamo realmente.

Guarda l’intervista in video
Fonte: Il Sole24ore
 

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